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Così la Giunta non rispetta la sentenza

Il paradosso dell'inasprimento dell'interdizione

Così la Giunta non rispetta la sentenza

Illustre presidente del Senato Grasso, illustre giudice costituzionale Amato, mi rivolgo a voi congiuntamente, nei giorni in cui si discute di modifiche alla Costituzione e di regolamenti, di voti palesi e di voti segreti, per segnalare le contraddizioni insite nell'inestricabile nodo della decadenza del senatore Berlusconi.

Il presidente Grasso ha piena consapevolezza dei poteri del Senato e Giuliano Amato, chiamato alla Consulta, è in una posizione ideale per essere arbitro tra politica e magistratura. Berlusconi sta per patire un'offesa dall'una e dall'altra. Si parla di ricorsi alla Corte costituzionale per i profili di incostituzionalità della legge Severino almeno rispetto alla sua efficacia retroattiva. Tema molto dibattuto ma poco efficace. I margini per un ricorso alla Consulta in nome del rispetto della legge, delle sentenze e dell'individuo, in effetti ci sono, ma sono altri.

Andiamo con ordine. In astratto la legge Severino stabilisce che debba decadere da parlamentare, ed essere incandidabile per sei anni, chi abbia avuto una pena pari o superiore ai due anni di detenzione. Un'astrazione naturale, corollario conseguente alla condanna penale. Da anni sentiamo dire, da parte dei gendarmi delle leggi della Costituzione, che le sentenze vanno rispettate. Ed è proprio in nome della sentenza di condanna che, nella percezione di molti parlamentari, il Senato dovrebbe prenderne atto: chi è condannato a più di due anni deve decadere da parlamentare, non si discute. E allora perché se ne parla? In Parlamento non votano i partiti ma i singoli parlamentari, eletti nel rispetto delle loro prerogative politiche ed etiche «senza vincolo di mandato».

Ma torniamo al principio, da molti ripetuto, che le sentenze si rispettano. La sentenza di terzo grado, in Cassazione, è inappellabile. La condanna è individuale, personale: è ciò che ti tocca, né più né meno. A Berlusconi sono toccati quattro anni di carcere (ridotti a uno grazie all'indulto) e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. La Cassazione interviene, e osserva che la misura accessoria è troppo alta, e va ridotta a tre anni. Il pg riformula la richiesta, il collegio giudicante ammette la riserva: cinque anni sono troppi, la misura accessoria è sproporzionata alla pena. Chiarissimo. Con ciò rinvia la determinazione della pena accessoria, si presume, non superiore a tre anni. Indiscutibile, e nessun dubbio potranno avere il presidente Grasso e il presidente Amato. E, con loro, quanti esigano il rispetto delle sentenze.
Chiedo quindi a Grasso e Amato se qui non sia materia per il ricorso alla Consulta. La prima considerazione è che sub iudice è proprio la materia tipica che oggi deve affrontare la giunta per le elezioni: la pena accessoria. Si potrebbe valutare la necessità di attendere la decisione definitiva del tribunale di merito e poi della Cassazione, per non stabilire una decisione parlamentare in evidente contrasto con quella del tribunale.

Analizziamo ora la seconda fattispecie. Ammettiamo che la pena accessoria definitiva sia la più alta possibile: tre anni di interdizione. Come si concilia questa inappellabile decisione con la Severino, che «interdice» Berlusconi per sei anni? Può una legge stabilire una pena astratta superiore a quella di una singola sentenza? Non è questa una evidente violazione dei diritti del cittadino? Qui è la radice incostituzionale della legge Severino: la sua astrazione, la sua natura moralistica, per stabilire punizioni esemplari e non individuali. Rispettare le sentenze significa rispettarle alla lettera. Come è possibile che una persona possa avere due o tre anni di interdizione, stabiliti dal tribunale e, per la stessa condanna, sei, stabiliti dal Parlamento? In tal modo il Parlamento si configurerebbe come un quarto grado di giudizio.

E qui la Consulta, cari presidenti, non potrà non essere chiamata a stabilire una posizione certa, in nome dei diritti dell'individuo e contro ogni demagogico giustizialismo legislativo. Il principio che deve prevalere, anche per il Parlamento, è che le sentenze vanno rispettate.

Appunto.

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