C'è lo Stato che non paga perché non ha soldi o perché ha le mani legate dal patto di stabilità. Ma c'è anche lo Stato che se ne infischia benché abbia il denaro in tasca e sia privo di vincoli da rispettare. Succede, per esempio, con l'impresa di Mario Bortoletto, padovano di Peraga di Vigonza. La sua azienda aveva un contratto senza rischi, finanziato da uno sponsor privato e garantito da una fideiussione. Eppure quasi quattro anni dopo l'affidamento dei lavori non ha ancora incassato un euro.
«Nel gennaio 2009 - racconta Bortoletto - vengo convocato al Viminale. Il ministero dell'Interno mi propone di ristrutturare un appartamento a Venezia di proprietà del Fondo edifici di culto per 270.000 euro più Iva, somma coperta da uno sponsor di Milano che in cambio avrebbe potuto esporre cartelloni pubblicitari sulla facciata di una chiesa di Roma vicina al Quirinale, Santa Caterina da Siena in Magnanapoli, che un'altra ditta avrebbe ristrutturato. Al Viminale noi, l'impresa romana, lo sponsor e i funzionari del ministero firmiamo una convenzione e i contratti d'appalto». L'articolo 12 della convenzione offre agli appaltatori una fideiussione a garanzia del pagamento.
«Era un accordo blindato, con questi chiari di luna», sospira Bortoletto. Lo sponsor non avrebbe avuto difficoltà ad affittare gli spazi pubblicitari: la chiesa in questione è dietro il Quirinale, all'ombra della Torre delle Milizie, tra via XXIV Maggio, via Nazionale e via IV Novembre. Precisa l'impresario edile padovano: «Senza la fideiussione non so se avrei firmato. Non avevo mai lavorato con quello sponsor ma non avevo dubbi sulle referenze offerte dal Viminale. Una settimana dopo il dirigente responsabile del progetto (successivamente promosso prefetto e trasferito lontano da Roma) mi telefona sollecitandomi i lavori: avevano già trovato a chi affittare quella casa per 30mila euro all'anno e avevano fretta».
In pochi giorni Bortoletto apre il cantiere nell'edificio in Campo San Polo, nel cuore della Serenissima. «Andiamo in 15 persone, lavoriamo sabato e domenica. In due mesi realizziamo l'85 per cento dei lavori. Dopo due mesi scadeva anche la prima rata di pagamento: quattro tranche mensili di 67.500 euro più Iva a partire da 60 giorni dopo l'inizio dei lavori». I soldi però non arrivano. «Chiamo il viceprefetto che mi tranquillizza: a fine mese avrete entrambe le rate. Ma lo sponsor non paga ancora. A quel punto chiamo di nuovo il funzionario del Viminale chiedendogli l'escussione della fideiussione. Il viceprefetto cade dalle nuvole: si era dimenticato di farsi dare la garanzia ma promette di rimediare subito».
Tempo perso: la società di pubblicità che doveva guadagnare rivendendo gli spazi sui cartelloni era fallita. L'operazione era andata a monte per la noncuranza di un alto funzionario dello stato. Bortoletto aveva quasi completato i lavori senza vedere un euro. «Il ministero in breve tempo recupera un altro sponsor romano facendogli ponti d'oro: uno sconto per completare i lavori della chiesa e 24 mesi, anziché 18, per esporre pubblicità. Noi avremmo potuto sottoscrivere un nuovo contratto privo però di fideiussione. Bravi, gli ho risposto, così il rischio di insolvenza si raddoppia. Sarò anche un veneto polentòn, ma non sono mona».
Di pagare, il Viminale non si sognava nemmeno. Era responsabilità del primo sponsor. «Avevamo tentato di insinuarci nel fallimento, ma non c'era spazio». Che cosa dunque succede? Il nuovo sponsor finisce i lavori alla chiesa di Santa Caterina, vende gli spazi pubblicitari a peso d'oro, versa al ministero dell'Interno quanto previsto dalla nuova convenzione (390mila euro). Il Viminale con un piccolo investimento completa i lavori affidati a Bortoletto e affitta l'immobile ristrutturato. Bortoletto, che ha eseguito le opere (quantificate in 203.262,33 euro più Iva dall'accertamento tecnico preventivo di un perito nominato dal tribunale di Venezia), resta a secco.
A una prima citazione il Viminale risponde di non avere colpe e l'avvocatura distrettuale di Venezia nega la transazione. Parte una estenuante battaglia burocratica a colpi di raccomandate in cui la presidenza del Consiglio scarica sul Viminale e il ministero scarica sulla ditta fallita. Intanto lo Stato incassa i soldi e se li tiene.
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