«Così ho sbancato Lecce con il 64 per cento dei voti»

«Così ho sbancato Lecce con il 64 per cento dei voti»

Lecce «Questa volta la nostra non è una partecipazione di testimonianza. Corriamo per vincere. Lecce è l’ultima trincea del centrodestra». Così parlò D’Alema Massimo. Il lider massimo ha sbagliato pronostico e persa la guerra. Paolo Perrone si conferma sindaco di Lecce, vince, stravince con il 64 per cento, è il sindaco più votato d’Italia, lascia in trincea la Capone Loredana, supportata dal D’Alema di cui sopra, sconfitta al 25 per cento, finita in corsa con venti giri di svantaggio.
Paolo Perrone, un uomo solo al comando, dunque: «Non mi sento un soldato giapponese, non sono in trincea, eppoi il Pdl in Puglia, tutto sommato, ha retto, rispetto al resto del Paese».
Come spiega il tracollo del partito e, in contemporanea, il fenomeno Lecce-Perrone?
«Guardi, io prima giocavo in una squadra che poteva vincere i mondiali e adesso sono qui in C2. Però ho la sensazione che si possa risalire».
Dia un consiglio agli sconfitti del suo partito.
«Bisogna rifondare i criteri di reclutamento, il sistema autoreferenziale è destinato a morire, dobbiamo ritornare al merito, a quello che lo stesso Berlusconi annunciò nel 1994, merito e passione erano le nostre stelle polari, con il tempo così non è stato. Il partito ha sofferto per una crescita importante, con un aumento straordinario di consensi dovuto anche alla fusione ma non c’è stata una parallela crescita organizzativa della classe dirigente attenta a presiedere, conservare le postazioni piuttosto che ascoltare le istanze dei cittadini. Il legame, già flebile, si è rotto».
Lei resiste, anzi ha migliorato sensibilmente il suo successo. Nel 2007, con un centrodestra compatto, era arrivato al 56,21, otto punti in meno degli attuali.
«Pensi che sono stato l’unico sindaco di centrodestra ad avere accettato le primarie. È stata un’idea di Paolo Pagliaro, sostenitore della Regione Salento, la sua azione è servita ad allargare la maggioranza, convincendo i leader di altri partiti a lasciare il terzo Polo per affiancarmi. Ma...».
Ma?
«Alle nostre primarie, organizzate senza grande propaganda, si presentarono in 17.418. A quelle del centrosinistra meno della metà, in 7814. Ma la sinistra gode, in Puglia e non soltanto, di una comunicazione particolare, tra giornali e televisioni, noi abbiamo poca visibilità, qui ancora meno».
Dunque?
«La vittoria ha un significato politico chiarissimo: la mia concorrente è la vicepresidente della Regione, dunque una esponente vendoliana. È uscita sconfitta perché la gente di Lecce ha capito, in questi anni, difficili e tormentati, chi lavora e chi enuncia. Gli slogan, anche affascinanti, senza azioni concrete, non pagano. La situazione della sanità pugliese è sotto gli occhi di tutti. Il modello vendoliano, al di là delle belle parole, ha portato a un deficit di organizzazione, a una opacità nei concorsi e negli affidamenti, a un carico di tasse e di ticket a fronte di un servizio sempre più scarso. E a Lecce gli elettori hanno fatto una verifica con i fatti di chi ha governato».
Lei è un bocconiano. Sembra l’ultima moda della politica.
«Bah, direi così e così. Monti è stato il mio professore di economia politica 1. Il voto? Ventotto, se non ricordo male. Ma non so quale sia il suo attuale indice di gradimento presso l’opinione pubblica».
Inferiore alla percentuale da lei ottenuta ieri.
«Forse».
Quale sarà il suo primo atto?
«La battaglia sull’Imu».
Si affianca alla Lega?
«Nessuno sciopero fiscale. Per Lecce è una tassa ingiusta. Il Comune non incassava una grande cifra dall’Ici e comunque quei soldi finivano in gran parte nelle nostre casse. Ora l’Imu penalizza i municipi virtuosi, una parte considerevole delle nuove entrate finirà allo Stato, chi paga riceverà meno servizi».
Il ragionamento è perfetto ma diventa complicata l’illustrazione. Potremmo chiedere conforto al professore di economia politica.
«Non mi sembra una cattiva idea».


Ha ricevuto molte telefonate di felicitazioni?
«Alcune».
Berlusconi?
«No».
Alfano?
«Non ancora, abbiamo rapporti che vanno oltre la politica».
Avversari?
«Il sindaco di Bari».
Le ha spedito del pesce?
«No, lo riceve, non lo spedisce».

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