Così l'asse Napolitano-Letta ha tenuto in piedi il governo

Decisiva mediazione di Palazzo Chigi e Colle con la sponda di Gianni Letta. Il premier vede i leader Epifani e Alfano: "Si può proseguire a fare bene"

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Che m'importa della crisi, dice Enrico Letta: se il Cavaliere rompe, io ho preso le contromisure. «Ho ricevuto Grillo», posta su Twitter. Dunque, è già pronto il ribaltone, gli ufo stanno per entrare a Palazzo? Il premier scherza, il Grillo incontrato è Ulrich, presidente degli industriali tedeschi. Ma insomma, in caso di frattura il soccorso M5S non è un'ipotesi campata in aria. E in attesa che questo piano B si materializzi, Letta (ieri ha incontrato Epifani e Alfano e poi avrebbe detto che «si può proseguire a fare bene») ha organizzato con il Colle un piano A.
A come aula. La giunta per le elezioni, questo è il ragionamento, può far decadere Berlusconi ma non un governo. L'organo deputato è Palazzo Madama. È lì che, se vorrà davvero farlo, il leader del centrodestra dovrà portare la sua battaglia. È lì che Letta, se e quando i ministri del Pdl si saranno dimessi, andrà a chiedere un'altra fiducia. E siccome il voto è segreto, Enrico è sicuro di spuntarla. Tra dissidenti grillini, malpancisti del Pdl, senatori a vita e una storica e trasversale ritrosia a lasciare lo scranno, un Letta bis non dovrebbe avere difficoltà a decollare. Certo, non sarebbe più un esecutivo di larghe intese. Ma questo è un altro problema. E c'è persino un piano C, c come conferma, che prevede una crisi pilotata, una decadenza morbida del Cavaliere e un rientro di Alfano e i gli altri ministri nella squadra.
Una linea concordata punto a punto con Giorgio Napolitano. Premier e presidente hanno indossato l'elmetto, però non hanno smesso di cercare una soluzione pacifica. Molte le telefonate, si parla anche di un vertice con Gianni Letta. Intanto Letta jr evita le occasioni di scontro e diserta un incontro alla Summer School del Pdl a Frascati. E il capo dello Stato approfitta di un'udienza con una delegazione del comune di Barletta per lanciare l'estremo invito alla calma. «Se non teniamo fermi, anzi, se non consolidiamo i pilastri della nostra convivenza nazionale, tutto è a rischio».
Crac in vista, crisi mai così vicina. Eppure, nonostante il clima pessimo, la trattativa prosegue. Si parla di come prendere tempo, di quale strade prendere per evitare l'espulsione del Cav salvando però la faccia a tutti. Si lavora sulla trasformazione delle pregiudiziali in note, si cerca una soluzione per scongiurare il voto. A questo negoziato nella venticinquesima ora, ispirato da Napolitano e Letta, si appendono le speranze di salvare il governo. Tentativi flebili: presto si vedrà il loro effetto. Ma che qualcosa si stia muovendo lo si capisce dalle parole del commissario grillino Michele Giarrusso: «Nessuno pensi di fare dei giochetti in giunta».
Ma dal Colle non si fanno troppe illusioni. Quell'appello all'unità altrimenti «tutto è a rischio» ripropone il paragone storico con l'8 settembre del '43. Ci avviamo verso un'altra fase di vuoto di potere? Le condizioni economiche del Paese e i mercati internazionali non ce lo consentirebbero. Per questo motivo Napolitano ufficialmente è fermo nelle intenzioni di Berlusconi continuare a sostenere l'esecutivo. Una presa d'atto che sconfina in una speranza calcolata: forse il Cavaliere si fermerà all'ultimo momento. Che interesse avrebbe, pensano al Quirinale, a far saltare le larghe intese, un governo sul quale ha messo l'imprimatur e del quale mantiene una sorta di golden share? E poi, si chiedono a Palazzo Chigi, come potrebbe la crisi giovare alla sua posizione giudiziaria?
Il capo dello Stato infatti non ha alcuna intenzione di riportate l'Italia alle urne con il Porcellum, un sistema che non consente la governabilità. Lo ha spiegato più volte, lo ripete pure durante l'incontro con il sindaco di Barletta, che tra l'altro è il suo ex portavoce Pasquale Cascella, quando sottolinea che adesso i comuni hanno «un forte potere decisionale». Quello che manca ai governi. Al di là dei conti pubblici, il sistema si deve evolvere, ha bisogno di riforme e quindi di stabilità per delle decisioni da prendere a larga maggioranza. In questo momento, secondo Napolitano, non c'è alternativa alle larghe intese. Guardando il futuro con ottimismo, il presidente pensa ancora ad elezioni non prima del 2015, dopo cioè il semestre di presidenza italiana della Ue. Troppo ottimismo?

È stata fissata per l'8 ottobre l'udienza con rito abbreviato del processo che vede imputato Luigi Preiti, l'uomo che il 28 aprile scorso, giorno di insediamento del governo Letta, sparò contro i carabinieri davanti a Palazzo Chigi. La Procura aveva ottenuto il giudizio immediato, ma la difesa di Preiti ha chiesto il rito abbreviato condizionato all'effettuazione di una perizia psichiatrica. E proprio a ottobre il gup Filippo Steidl dovrà decidere se accogliere la richieste difensive e in tal caso verrà individuata una nuova udienza. Preiti, detenuto nel carcere di Rebibbia, deve rispondere anche dei reati di porto abusivo di arma clandestina e ricettazione.

Nella sparatoria rimasero feriti il brigadiere Giuseppe Giangrande, colpito al collo, e in maniera lieve l'appuntato Francesco Negri, raggiunto da un proiettile ad una gamba. Un terzo uomo dell'Arma si vide perforare il giubbetto antiproiettile, mentre il quarto si salvò gettandosi in terra.

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