Così l'eco-progetto si è ridotto a un grande cimitero di gomme

In provincia di Pavia un deposito di 60mila tonnellate di pneumatici: nato per riciclare in modo innovativo, oggi è una montagna inutilizzabile

Così l'eco-progetto si è ridotto a un grande cimitero di gomme

Lo sapevate? Anche le gomme morte invecchiano. Si penserebbe che dopo essere stato tolto dal cerchione, uno pneumatico aspetti tranquillo il suo destino. Invece se non viene riciclato in fretta - in uno dei diversi modi in cui può essere riciclato, tipo campi da basket, pavimenti per metrò, robe così - di un copertone non si può fare più niente. Assolutamente niente.
È da questa dolorosa circostanza che bisogna partire se si vuole spiegare il sorprendente panorama che accoglie il viaggiatore distratto che dal Po, passato il fiume a Bastida Pancarana, salga verso Salice Terme. Verde-oro-nero. Il verde delle ultime risaie, l'oro del grano, e il nero della immane muraglia di gomme che all'improvviso si para d'innanzi. Un'opera concettuale postmoderna, un monumento funebre alla follia collettiva chiamata auto. Più semplicemente: sessantamila tonnellate di gomme di cui ora non si può fare proprio più niente.

La storia di come questi milioni (due? tre, quattro? Impossibile calcolarlo) di pneumatici si siano dati appuntamento nella breve pianura dell'Oltrepò pavese, stretta tra il fiume e le colline, è la storia di una idea brillante finita in disastro. L'idea si chiamava Ecogomma, e venne in mente a un tipo di Vigevano di nome Giuseppe Bellotti: ritirare i vecchi pneumatici, tritarli e mischiarli al bitume per realizzare un asfalto su cui fosse impossibile scivolare. Pronti via. Bellotti trovò l'area che faceva per lui: una vecchia fornace dismessa a Castelletto Po, frazione di Castelletto di Branduzzo: mille anime in tutto, pianura contadina un po' sfortunata («facevamo il vino - racconta il sindaco Luciano Villani - poi le colline hanno invaso il mercato; allora siamo passati alla barbabietola, ma lo zuccherificio di Casei Gerola ha chiuso») in cui il mirabolante business delle gomme riciclate apriva speranze da boom.
Nel 2004 iniziarono ad arrivare gomme da tutta Italia. Nel 2009 la Ecogomma era già fallita, per il semplice motivo che l'asfalto arricchito costava di più di quello vecchio, e il fatto che fosse più sicuro non aveva convinto i Comuni a spendere un euro in più. Nel frattempo, però, il muro di gomma si era alzato, alto come un paese, e come un paese diviso da strade e vicoli. L'autorizzazione alla Ecogomma era per stoccare sedicimila tonnellate. Ne sono arrivate quattro volte tanto.

Qui vicino, a Bottarone, era nato nel 1813 Agostino De Pretis, che sarebbe diventato nove volte presidente del consiglio: poi praticamente non è successo più niente. E continua a non succedere niente. Il deposito della Ecogomma è circondato: su un lato una pista di kart, sull'altro una pista per auto, di là il «7 Laghi carp fishing» per la pesca sportiva con annesso motel. Chi non pesca e non va in moto, guarda quelli che lo fanno. Il paese è a cento metri. Il muro di gomma all'orizzonte rubava i sonni di qualche abitante: e se prende fuoco? Le gomme faticano a incendiarsi, ma quando ci riescono spegnerle è quasi impossibile. «Ma noi - racconta il sindaco Villani - ci siamo procurati una sostanza americana da aggiungere all'acqua degli idranti, in mezz'ora si spegne tutto. Comunque incendi finora non ce ne sono mai stati». Per cinque anni, dopo il fallimento della Ecogomma, questo sacrario alla mobilità insostenibile è rimasto lì, a calcinarsi sotto il sole e a macerarsi sotto l'acqua. Incredibilmente, qua e là è spuntato qualche fiore. Adesso qualcosa si muove. Un consorzio che si chiama Ecopneus si è preso l'incarico di iniziare a svuotare l'area. Diecimila tonnellate quest'anno, poi forse altre diecimila, poi si vedrà. Paga il Comune che però, con singolare lungimiranza, dieci anni fa si era fatto firmare una fideiussione dai padroni dell'area, nel caso - puntualmente verificatosi - che il progetto andasse a catafascio.

Così l'area inizia a svuotarsi, a dire il vero in modo singolare: a Castelletto arrivano i camion, caricano più gomme che possano, le portano a Possagno in provincia di Treviso (trecentotrè chilometri di distanza), da lì le gomme tritate fanno marcia indietro e vengono portate (altri 260 chilometri) a Piacenza, in un cementificio dove ci fanno l'unica cosa che ci si può fare, visto che in tutti gli anni passati all'aperto hanno finito di rovinarsi: le bruciano. Ed è forse l'autodafè che tocca a tutte le utopie fallite.

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