Così nasce il nuovo Pci sotto la stella rossa di Grillo

Contro la rielezione di uno storico comunista e intorno al nome di Rodotà, Barca e Vendola costruiscono il partito marxista-grillista. Il nemico è il Cav

Così nasce il nuovo Pci sotto la stella rossa di Grillo

La sesta stella che s'è accesa sul petto di Beppe Grillo è rossa. Contro la rielezione al Quirinale di uno dei più autorevoli dirigenti storici del Pci è nato ieri dalle macerie del centrosinistra il nuovo partito comunista marxista-grillista. Ne fanno parte, spensierati fratelli, il ministro tecnico Fabrizio Barca e il rifondatore del comunismo Paolo Ferrero, il leader dei metalmeccanici rossi Maurizio Landini e il suo ex acerrimo nemico Sergio Cofferati, la benecomunista Laura Puppato e i Giovani democratici (ma esistono?) che annunciano di voler addirittura occupare il Pd, i rottami di Sel sopravvissuti alla tempesta elettorale (ma Vendola non aveva giurato che mai avrebbe rotto l'alleanza con Bersani?) e i profughi di Rivoluzione civile. Il loro guru è Beppe Grillo, il loro vangelo è Twitter, il sol dell'avvenire è la distruzione di Berlusconi.

Ieri pomeriggio il Pd ha dato una relativa prova di compattezza, per disperazione più che per convinzione, votando a stragrande maggioranza per Napolitano. Ma ormai è troppo tardi. Il cedimento strutturale del Pd con il massacro di Marini e di Prodi è destinato ad aggravarsi. Perché il problema non è di nomi né di programmi: il problema è Berlusconi. Qualsiasi accordo con lui, inclusa la riconferma di Napolitano, è considerato un reato capitale. E come tale va punito. Se riavvolgiamo il nastro della crisi, le responsabilità di Bersani sono evidenti: è la sua linea avventurista di apertura incondizionata a Grillo, e di ostilità verso ogni ipotesi di larghe intese, ad aver innescato una vera e propria regressione culturale, politica, antropologica. Bersani ha fatto credere che il governo con Grillo fosse necessario: e quando ha concordato con il centrodestra un nome per il Quirinale, la pentola è esplosa. Intorno al nome-feticcio di Rodotà si è raccolto uno schieramento battagliero, indisponibile a ogni compromesso e intenzionato a sposare fino in fondo l'avventura grillista.
Ma il vero problema - e la vera scissione - arriveranno con la formazione del governo. Sebbene Napolitano abbia precisato che nessun patto è stato sottoscritto dai suoi grandi elettori, anche i sassi sanno che la sua rielezione è strettamente legata alla nascita di un esecutivo, la cui base parlamentare comprenda il Pd, il Pdl e Scelta civica. Cioè proprio il contrario di quanto Bersani è andato ripetendo nei sessanta giorni che hanno seguito la «non vittoria» di febbraio. Altro che «governo di cambiamento» con il sostegno dei Cinque stelle: il rovesciamento di linea è drammatico. Dopo aver predicato la morte di Berlusconi, il Pd si ritrova a farci un governo insieme. I duecento voti del Pd che sono mancati a Marini costituiscono la base parlamentare della futura opposizione. Quei voti solo marginalmente sono andati contro la persona dell'ultimo segretario del Partito popolare: Marini è stato bocciato soltanto perché anche Berlusconi l'ha votato. Non tutti, naturalmente, seguiranno Barca e Landini e Vendola, e oggi è prematuro indicare un calcolo delle forze in campo. Ma lo sfaldamento del campo bersaniano è destinato ad esplodere anche in forme organizzate.

La verità è che il Pd non ha più né la volontà né gli anticorpi per reagire: una parte significativa del gruppo parlamentare - i «giovani» imposti da Bersani - è completamente succuba delle isterie della Rete e permeabile alle lusinghe grilline: proprio a loro, non per caso, si è rivolto l'ex comico, invitandoli a conquistare il partito e ad aprire insieme una «fase nuova». Che è poi quella di sempre: morte al Caimano. L'Opa sul Pd lanciata da Grillo nel 2009, quando cercò invano di candidarsi alle primarie che incoronarono Bersani, è dunque ad un passo dal successo. Di certo, Grillo è riuscito in un'impresa che nessuno avrebbe immaginato: spaccare come una mela il più grande partito italiano, insediarsi nei suoi gangli come un virus, e infine obbligarlo a scegliere fra se stesso e Napolitano. La nuova «cosa di sinistra» che si affianca alla galassia grillina nella guerra all'«inciucione» non solo cancella quel che resta dell'unità della sinistra faticosamente costruita dalla segreteria di Bersani: di più, e peggio, fa ripiombare l'intero sistema politico nell'incubo della guerra civile fredda fra i «berlusconiani» (che sono ormai tutti: persino Napolitano) e gli «antiberlusconiani», depositari dell'unica verità consentita.

Con una differenza fondamentale: a guidare le danze non c'è un gruppo dirigente eletto da un congresso, o un leader legittimato dalle primarie, o un aspirante premier. A guidare le danze sulle rovine della sinistra c'è un comico miliardario che marcia su Roma.

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