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Creati in aprile 165mila nuovi posti, ma l'industria continua a licenziare

Creati in aprile 165mila nuovi posti, ma l'industria continua a licenziare

L'importante, come cantava Enzo Jannacci, è esagerare. E in fatto di eccessi, le Borse non prendono lezioni da nessuno. Capita, così, di veder schizzare ieri a Wall Street il Dow Jones sopra quota 15mila, vetta mai violata, e di assistere all'abbattimento da parte dello Standard&Poor's del muro dei 1.600 punti con conseguente trascinamento verso l'alto di tutti i listini europei, Milano compresa (+1,04%). Tutto merito del calo inatteso in aprile della disoccupazione Usa, il cui tasso è sceso al 7,5% (il livello più basso dal dicembre 2008) e della creazione di 165mila nuovi posti di lavoro rispetto ai 148mila previsti. Inoltre, sono stati riviste verso l'alto le cifre dei due mesi precedenti per un totale di 114mila di nuovi impieghi.
Insomma, la Corporate America sembra aver rimesso in moto la macchina delle assunzioni. I numeri, però, possono anche raccontare mezze verità. E in questo caso, basta sollevare un po' il tappeto per vedere la polvere e rendersi conto che la strada sarà ancora lunga prima di riuscire a schiacciare la percentuale dei senza lavoro al 6,5%, la soglia-target oltre la quale la Federal Reserve continuerà a mantenere a zero i tassi e ad acquistare 85 miliardi di dollari di bond al mese. Per poter incidere efficacemente sulla disoccupazione, gli Stati Uniti dovrebbero generare ogni mese almeno 200mila posti nuovi di zecca.
È un passo difficile da mantenere: più probabile che la media d'anno si attesti sui 150mila. A conferma di una situazione di precarietà non ancora superata, in settori-chiave come le costruzioni, l'informatica e l'industria il saldo occupazionale è risultato negativo anche il mese scorso. Ciò spiega un altro fenomeno: il boom di assunzioni «rosa» (sono 384mila le donne che hanno trovato un impiego, soprattutto nella ristorazione e nei servizi) e i 90mila licenziamenti che hanno al contrario colpito gli uomini.
Non solo: chi ha trovato un posto si colloca nella fascia di età al di sotto dei 25 anni o al di sopra dei 55 anni. Non è un buon segno, ma semmai un indice rivelatore che l'offerta di lavoro è rivolta principalmente a chi accetta lavori sottopagati: giovani alla ricerca di una qualsiasi esperienza lavorativa, oppure persone mature cui è difficile trovare una ricollocazione sul mercato con le stesse mansioni e condizioni retributive avute in passato. Se poi nel computo si aggiungono i quasi 8 milioni di americani part-time e quelli che ormai si sono rassegnati a restare a spasso, il tasso di disoccupazione schizza al 13,9%.
«Molto resta da fare», ha infatti ammesso Alan Krueger, consigliere economico del presidente Barack Obama, che ha rinnovato l'appello al Congresso a varare le misure per la crescita e a rimpiazzare ai tagli automatici della spesa un piano di riduzione del deficit che sia equilibrato. Certo: vista dall'Europa, dove i senza-lavoro sono al 12,2%, la situazione americana appare perfino rassicurante.

Anche se manca ancora la prova che il bazooka usato a più riprese da Ben Bernanke sia servito all'economia reale o non abbia unicamente contribuito ad alimentare, come sostengono alcuni economisti, l'ultima bolla di Wall Street.

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