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I democratici restano sommersi dalle inchieste

Dallo scandalo Mps alla sanità pugliese, il partito nel mirino dei pm

I democratici restano sommersi dalle inchieste

È stato proprio Beppe Grillo a ironizzare sullo squadrone di Bersani, una galleria di indagati eccellenti da Nord a Sud: «Penati, Lusi, Tedesco». Il Pd può naturalmente continuare a proclamare la propria presunta, sempre più presunta, superiorità morale, ma l'elenco delle indagini e dei processi che toccano il partito di Pier Luigi Bersani è davvero impressionante. Si scava su tutto: sul sistema Puglia, colpito ai massimi livelli con le accuse che hanno travolto il senatore Alberto Tedesco e l'ex vicepresidente della Regione Sandro Frisullo; sui rimborsi allegri ai consiglieri regionali del Pirellone; e poi ancora si rilegge con la lente d'ingrandimento il contratto della storica segretaria di Bersani, Zoia Veronesi. Ce n'è per tutti i gusti, fino al caso da manuale del Monte dei Paschi. Ecco, in terra di Lombardia il sistema Penati, oggi ridimensionato dalla solita falce della prescrizione, ma che i pm di Monza ritengono di aver dimostrato, e poi ci sono gli incredibili ammanchi dell'allora tesoriere dela Margherita Luigi Lusi. Certo, la Margherita era in quel periodo una formazione autonoma, ma poi è confluita nel Pd e in ogni caso la magistratura, almeno per ora, pare aver sposato la linea minimalista: tutta colpa di Lusi e dei suoi collaboratori. Si è portato via una ventina di milioni di euro, ma avrebbe fatto tutto da solo. Spinto dalla sua irrefrenabile ingordigia, vuoi mettere la sinistra non è come la destra e la Margherita non era come la Lega dove tutti, o quasi, banchettavano, come in certe affollate cene del Veronese, e si spartivano la torta.

Spesso le indagini sul lato sinistro dell'emiciclo si fermano al primo livello, alla periferia dell'impero, senza intaccare le solide certezze dei militanti. Ma qualche volta il tappo salta e allora tocca rivedere giudizi e pregiudizi stratificati da decenni. A Siena, dove si scaverà ancora a lungo, è crollato un mito che andava indietro addirittura agli albori del Rinascimento. Il Monte di Giuseppe Mussari, il Monte in cui le nomine erano il respiro della politica e la proiezione di una delle città più rosse d'Italia, sognava in grande e il partito immaginava una superbanca a disposizione come il telecomando in salotto. Così l'istituto ha divorato un boccone troppo grande, Antonveneta, e la toppa - realizzata a colpi di derivati - si è rivelata peggiore del buco. La città un tempo modello è in crisi, un'intera classe dirigente esce di scena fra le macerie del disastro, il resto lo dirà la magistratura.

Da Siena alla Puglia. Le cartoline del buongoverno vengono stracciate una a una dalle procure. Il senatore Alberto Tedesco, che l'aula di Palazzo Madama ha salvato dalle manette, verrà processato per aver fatto parte di un sodalizio criminale che gestiva la sanità barese, dagli appalti alle nomine, fra il 2005 e il 2009. L'ex vicepresidente della Regione Sandro Frisullo è già stato condannato a 2 anni e 8 mesi per un reato gravissimo: associazione a delinquere. E però in Puglia è un susseguirisi di scandali che tornano sempre e puntano dritto sul business più ricco per la regione a trazione vendoliana: la sanità.
In Lombardia, invece, il centrosinstra condivide i guai del centrodestra: non si badava a spese e neppure alle note spese: taxi, creme, ristoranti, libri. Per i consiglieri tutto ma proprio tutto era rimborsabile e tutto ma proprio tutto, senza vergogna, veniva caricato sulle spalle del Pirellone.
I fascicoli si moltiplicano, da Bari a Monza passando per Milano e Roma. Anche Bologna, la capitale storica del vecchio Pci, è costretta a fare i conti con episodi che non convincono la magistratura. Come la vicenda del contributo da 1 milione di euro, erogato dalla Regione di Errani alla cooperativa Terremerse del fratello del governatore, Giovanni Errani. Il presidente è stato assolto, ma la procura ha annunnciato appello. E sempre nella città vetrina della sinistra tricolore si passa al setaccio l'attività dell'ex segretaria di Bersani, Zoia Veronesi.
A Bologna le avrebbero confezionato un incarico ad hoc nella capitale, giusto per scaricare sul solito contribuente la sua collaborazione col partito e con Bersani. Lei nega, sdegnata.

Il mito della diversità, però, non c'è più da un pezzo.

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