Decisa ma romantica L'eleganza di Céline conquista Parigi

Decisa ma romantica L'eleganza di Céline conquista Parigi

Parigi«La donna che sa quello che vogliono le donne». Ecco la felice definizione del New York Times per Phoebe Philo, direttore creativo di Céline dal 2009 e autrice di quella che a tutti è sembrata la più bella tra le collezioni viste finora a Parigi. Una moda in grado di cambiare i gesti delle donne e forse l'idea stessa della femminilità: ecco cosa è stata capace di far sfilare la quarantunenne stilista inglese ieri nel gigantesco tennis club del XVI arrondissement dove un tempo sfilava Helmut Lang. Fin dalle prime uscite si è capito che la Philo voleva determinare una nuova attitudine con le sue creazioni. Ecco quindi un grande manicotto di pelliccia bianca oppure gialla portato con nonchalance lungo il fianco dei sublimi cappotti neri con l'allacciatura asimmetrica sotto i bottoni candidi. In caso di freddo polare ci si potranno infilare entrambe le mani e forse le più ardite anche la testa come se fosse una cagoule. Ma portato così, con i sottili pantaloni a trombetta oppure le gonne tagliate a pannelli sopra alle solide scarpe nere dall'imponente suola in carrarmato, quel manicotto lancia un messaggio di forza e fragilità: il bello delle donne. Anche le borse ergonomiche si appoggiano sul fianco destro, mentre i grandi cappotti vengono fatti scendere come stole e si fermano al petto con un gesto antico e gentile che mette in risalto tutti i bijoux della collezione: grandi collane o bracciali di plexiglass colorato e un lungo mono orecchino molto elaborato. Spettacolari tutti i paltò di maglia marmorizzata, l'avvolgente caban di breitshwantz bianco, il taglio grafico e pulito dei tailleur neri decorati da cristalli dal taglio geometrico per non parlare degli accostamenti di colore semplicemente perfetti. Pare che la Philo si sia ispirata in parte alla mostra su Hannah Hoch (artista berlinese dadaista nonché inventrice del fotomontaggio) in corso alla Whitechapel Gallery di Londra. Di sicuro le foto stampate sugli inviti (uno diverso dall'altro) vengono da lì e sono perfettamente in tema sul cambiamento proposto da Céline alle donne che essendo forti non vogliono diventare tristi parodie degli uomini. Per la regia della sfilata Kenzo i direttori artistici (Humberto Leon e Carol Lim) hanno scomodato nientepopodimeno che David Lynch, un genio assoluto. Lo spettacolo è stato impeccabile e inquietante in parti uguali, con una gigantesca struttura-scultura a forma di viso alieno senza occhi dietro cui uscivano le modelle per poi procedere lungo un immaginario labirinto. Nella bella collezione non ci sono riferimenti didascalici alla filmografia di Lynch tranne forse nelle ultime stampe in cui si riconoscono forbici e motoseghe: le armi preferite dagli abitanti di Twin Peaks, il telefilm che ha fatto conoscere al grande pubblico il regista dell'inquietudine. Anche alcuni colori fanno pensare a certi suoi personaggi femminili: la Lula di Cuore selvaggio per il giallo evidenziatore di un completo in maglia e la Dorothy di Blu Velvet per tutti i toni violacei di blu. Tutto il resto è un delizioso assemblaggio di generi e cose: la gonna a ruota sul completo da uomo, il bustier di broccato con il cappottane imbottito, il corto sul lungo e sotto sempre i pantaloni. Insomma non è un caso se Kenzo nelle mani di questi due ragazzi cresciuti chiedendosi chi diavolo ha ucciso Laura Palmer, stia diventando un fenomeno sul web: una moda a misura di like. Ter et bantine è invece a misura di donna, quelle belle indipendentemente dai polizieschi canoni estetici dei chirurghi plastici. Manuela Arcari, intelligente e riottosa signora che da anni firma questa interessante griffe del made in Italy anche stavolta propone il tutto nero, il mix appeal dei tessuti, l'oversize e le scarpe da uomo. Di nuovo c'è la capacità diu guardarsi dentro e di sorridere al mondo. Scusate se è poco.

Rabih Kayrouz, simpatico designer libanese propone l'incrocio tra stile parigino e usanze orientale: la ragazza che esce dall'hammam con il pareo sotto il cappotto. Credibile fino a un certo punto, ma senza dubbio divertente.

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