Il decreto è solo un antipasto Ora servono tagli e riforme

Il governo ha preparato il terreno a qualcosa di più concreto: lo stop alla morsa fiscale. Ora l'esecutivo deve muoversi in fretta e il gioco per Letta si farà sempre più duro

Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, con il vicepremier Angelino Alfano
Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, con il vicepremier Angelino Alfano

Attenzione al Decreto «Fare». Intanto per il nome: a Oscar Giannino, che si era presentato alle elezioni battezzando il suo partito con lo stesso verbo declinato all'infinito, non ha portato bene. Poi perché le sei-sette ore di consiglio dei ministri che sono state necessarie per il varo dei provvedimenti non sono il risultato di combattute scelte politiche e riformiste, ma semplicemente il tempo necessario, in filo diretto con la Ragioneria di Stato, per far tornare i conti a parità di bilancio: le nuove risorse previste sono solo spostate di qui a lì, ovvero sospese da un lato per essere utilizzate subito da un altro. Non ci sono tagli; non ci sono riforme di sistema. Di conseguenza, l'enfasi data al parto dei provvedimenti non è proporzionale al peso che questi avranno sulla ripresa dell'economia del Paese. Infine attenzione al decreto perché non è un solo un decreto, ma una combinazione di norme scritte anche su due disegni di legge non ancora esaminati dal Consiglio dei ministri. Quindi, in attesa dell'iter parlamentare, non si possono avere certezze né sui contenuti, né sui tempi.
In altri termini il Decreto Fare è solo un antipasto, la support band, il «prossimamente» dello spettacolo vero, quello che riguarda i nodi fiscali (Imu, Iva, ma anche e soprattutto il cuneo), i tagli alle spesa pubblica e le riforme strutturali. Come ci dice Giuseppe Bortolussi, il segretario degli artigiani di Mestre - custodi del più potente ufficio studi sulle disavventure delle piccole imprese - «i nuovi provvedimenti sono tutti dal lato dell'offerta. Molti sono necessari, ma nessuno è sufficiente perché la crisi che viviamo sta nella domanda. Le imprese non torneranno a investire fin quando non si comincerà a vedere una ripresa dei consumi». Dopodiché l'azione del governo Letta merita tutta l'approvazione possibile. E vedremo anche subito perché. Ma è importante sottolineare che questo non è che il punto di partenza; una cornice nuova, anche culturale, dentro la quale l'esecutivo dovrà ora iniziare a muoversi e a farlo in fretta.
In questo senso le norme cosiddette «su Equitalia» sono le più apprezzate dalla comunità economica. Gli italiani escono dalla categoria dei sudditi di un fisco a volte sadico per tornare a essere cittadini. In questo senso va la cancellazione del pignoramento della prima casa; la rateizzazione del debito fino da 72 a 120 mesi; la possibilità di saltare dalle attuali 2 fino a 8 rate. E per le imprese c'è anche un segnale ulteriore di rinnovata attenzione: ai funzionari pubblici che ritarderanno gli adempimenti amministrativi senza giustificati motivi verranno applicati 50 euro di sanzione al giorno fino a un massimo di 4mila. Si tratta di una cosa piccola, ma dal significato enorme per iniziare a scalfire il muro di gomma della burocrazia. Per le imprese, molto positive sono giudicate le risorse (fino a 5 miliardi) indirizzate (tramite la Cdp) al rifinanziamento della «Legge Sabatini» sull'acquisto di macchinari e beni strumentali. Buono anche il giudizio sulla maggiore efficacia del fondo di garanzia per il credito alle Pmi.
Ma è ora che il gioco si fa duro. È come se fosse stato preparato il terreno a qualcosa di più concreto: lo stop alla morsa fiscale. A partire dall'aumento dell'aliquota ordinaria Iva dal 21 al 22%, al quale mancano 14 giorni.

Coma calcolato da Confcommercio per il 2013 basterebbe trovare 1,4 miliardi (quindi meno dei due previsti dal governo): una cifra «irrisoria» perché pari a meno dell'un per mille del Pil; o del due per mille della spesa pubblica annuale. Non diteci che non si può fare.

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