Roma - È un Pd un po' frastornato quello che assiste al D Day di Enrico Letta, poi al coup de théâtre del Cavaliere, poi ai frenetici andirivieni sui gruppi parlamentari frondisti del Pdl che forse nascono ma poi non nascono ma magari sì, e alla fine di una lunga giornata non sa ancora dire se ha vinto o no.
Certo, gli uomini di Letta e quelli di Franceschini celebrano «una vittoria epocale», «un fatto inaudito», «un'operazione che cambia la storia». Spiegano che, gruppi o non gruppi, «Enrico ha messo Berlusconi all'angolo, lo ha disarmato, lo ha reso innocuo», come dice il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli. E sì, il Cavaliere sarà ancora in maggioranza visto che ha votato la fiducia, «ma è del tutto ininfluente, perchè la avremmo avuta lo stesso».
E però è anche vero che quella «maggioranza nuova» che si voleva sancire ieri e che il capo dello Stato aveva chiesto («Serve una chiarificazione piena delle posizioni politiche»), alla fine del voto non è così chiara. E che a Montecitorio, nel pomeriggio, i franceschiniani spiegavano che si sarebbe tentato di inserire nella risoluzione di maggioranza un passaggio «impotabile» per i berlusconiani, onde spingerli a non votare, mentre in aula il capogruppo Pd Speranza alzava i toni contro il Cavaliere, esaltando «il coraggio di chi non si è piegato al Capo» e annunciando «l'atto fondativo di una nuova maggioranza». Salvo il fatto che poi Speranza e «il Capo» hanno votato insieme la fiducia.
«Se oggi nascono i gruppi dei fuoriusciti è un capolavoro, se non nascono è un disastro per noi», sintetizzava ad ora di pranzo in Senato un dirigente Pd. «C'è poco da fare, se non succede in fretta un fatto politico nuovo diventa difficile dire che è diverso da prima e che non governiamo con Berlusconi», ragiona l'ex Ds Michele Meta. Lo stesso Epifani, a sera, tradiva qualche preoccupazione, invitando i dissidenti Pdl a non farsi «inghiottire nel gorgo della furbizia e del tatticismo».
Il capogruppo di Sel, Gennaro Migliore, irride l'operazione Letta: «Ma dai, è una farsa: cercano disperatamente di dire che non vogliono Berlusconi e di tenerlo fuori dicendo che è irrilevante, ma se non c'erano i suoi voti erano appesi sul filo dei 161, compresi i senatori a vita».
E che l'«operazione Letta» causi più di un malessere in casa Pd lo si intuisce da più segnali. Sono in sofferenza gli ex Ds, per la prima volta relegati ad un ruolo secondario nella tenaglia Letta-Renzi, e qualcuno già dice. «O nascono i gruppi e esce Berlusconi, o si torni al voto». D'Alema però parla di un Letta «rafforzato». Ma è Rosi Bindi la più esplicita: «Se con questo governo si puntasse ad un'operazione neocentrista, si sappia che la stragrande maggioranza Pd non è d'accordo», avvisa. Il fronte renziano fa partire una raffica di comunicati più o meno dello stesso tenore: dopo la «farsa» della fiducia berlusconiana, «credo che per la fine della Seconda repubblica dovremo aspettare l'8 dicembre», ossia le primarie del Pd, dice Davide Faraone.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.