Denise Pipitone oggi dovrebbe avere tredici anni. Da nove di lei non si hanno più notizie. Svanita, evaporata mentre in un soleggiato pomeriggio siciliano giocava davanti a casa della nonna. Mazara del Vallo (Trapani), via Domenico La Bruna 1° settembre 2004. Comincia qui uno dei tanti, troppi misteri che l'Italia degli investigatori giustizialisti, degli 007 con la «tripla barba», dei giudici distratti non riesce ancora a risolvere. È viva o morta questa bambina nata da una relazione extraconiugale?
Indagini mediatiche, avvistamenti veri o presunti, lettere e telefonate anonime, ricerche all'estero non hanno portato a niente. Se non a un processo cominciato in sordina, finito o quasi nella polvere del nulla. Imputata la sorellastra, Jessica Pulizzi: secondo gli inquirenti avrebbe avuto un ruolo nel «sequestro» della piccola. «Cappuccetto rosso e il lupo cattivo», la parabola utilizzata in aula dal legale di Piera Maggi, mamma di Denise.
Il processo si era aperto il 16 marzo 2010 dopo un'indagine infinita, corrosa da speranze vane e cocenti delusioni, in cui negli anni si sono susseguiti undici pm, da Luigi Boccia e Maria Angioni agli attuali Sabrina Carmazzi e Francesca Rago. Il primo di questi, Antonino Silvio Sciuto, si disse convinto che la piccola non fosse lontana. Anzi azzardò: «La troveremo». Un'illussione, una delle tante.
Il quadro tracciato dall'accusa in tre anni e mezzo di dibattimento mostrava il ritratto di un Jessica «donna gelosa (oggi ha 26 anni, ndr)», senza alibi e con un movente chiaro: l'astio nei confronti di Piera Maggio per la sua relazione con il padre, Pietro Pulizzi, da cui era nata Denise. Dall'altra parte del campo la difesa sosteneva l'innocenza di Jessica: contro di lei non ci sarebbero state prove ma solo «congetture ed elementi indiziari». Un'intercettazione la «inchiodava», mentre attendeva di essere ascolta in un ufficio di polizia: «Io a casa c'a purtai» (a casa gliela portai). Secondo gli investigatori una conferma della sua partecipazione nel rapimento. L'accusa chiedeva per lei 15 anni di reclusione per concorso in sequestro di persona. I magistrati del tribunale di Marsala, invece, l'hanno scagionata. «Ho sempre detto di essere innocente. Mi hanno creduto: dopo nove anni da incubo hanno i giudici preso la decisione che dovevano prendere. Spero che facciano giustizia per Denise. La mia vita, ora, può continuare normalmente», si sfoga lei fuori dall'aula davanti alle telecamere di Mediaset.
Piera Maggio, però, non si arrende, di fronte alla sentenza: «Noi non ci fermeremo mai di cercare Denise. Mia figlia deve essere trovata». Confortata dal procuratore capo di Marsala, Alberto Di Pisa. «Attendiamo di leggere le motivazione della sentenza, ma è probabile che ricorreremo in appello». «Per noi -ha proseguito Di Pisa- c'era una serie di indizi gravi, univoci e convergenti, cementati da una casuale importante e uniti alla mancanza di un alibi. Ma evidentemente il Tribunale ha ritenuto diversamente».
Le indagini, comunque, non finiscono qui. «Continuano ad arrivarci segnalazioni di bambine somiglianti a Denise su cui puntualmente abbiamo condotto degli accertamenti che hanno dato però esito negativo. E ci sono due procedimenti paralleli».
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