Interni

Il derby tra due grandi così vicini, così lontani

Berlusconi e Agnelli: caratteri diversi, personalità contrapposte, gusti agli antipodi. Ma la stessa capacità istrionica di catalizzare l’ammirazione della gente. Il carisma del Cav giocato sull’empatia «pop» trasversale alle 111 classi sociali, quello di Gianni centrato sullo spirito snob dell’élite. Per entrambi lo stesso destino: amati o odiati

Il derby tra due grandi così vicini, così lontani

Ascolta ora: "Il derby tra due grandi così vicini, così lontani"

Il derby tra due grandi così vicini, così lontani

00:00 / 00:00
100 %

È come se si fosse chiuso il libro di un secolo, i migliori anni della loro vita, stagioni affollate di eventi, personaggi, comparse, la dolce vita e la vita dolce, Gianni Agnelli e Silvio Berlusconi, senatori, imprenditori, editori, presidenti di grandiose squadre di football, amanti del piacere, alla voce donne, dimore affascinanti, gloria. Vicini nel loro senso della vita, distanti nell’approccio e nella frequentazione della stessa.

Narciso ai massimi l’Avvocato, vanesio nella postura, elegante, di quell’aristocratico portamento nei dettagli degli abiti, erede di una dinastia imprenditoriale però ferita da tragedie e pettegolezzi di corte. Più immediato, dunque lombardo brianzolo per intendere, il Dottore, felice dell’altrui divertimento, barzellettiere, Casanova, collezionista di avventure e di trofei calcistici. Entrambi leader, nel senso di capi, carismatici, coinvolgenti, il furbo distacco sabaudo da una parte e il fasotutomi meneghino dall’altra, uomini simbolo di un’epoca, quella italiana e poi internazionale; non certamente un salottiere è stato Silvio Berlusconi che di quella Roma da grande bellezza non sapeva che cosa fare se non ammirarne la storia, il fascino e gli stimoli mille ma la monnezza burocratica mai, cosa che, al contrario, riguardava Gianni Agnelli il quale a Roma aveva e tiene domicilio ma trovava la sua personale capitale in qualunque città si fosse venuto a trovare, New York come Parigi, Sankt Moritz o Roquebrune-Cap-Martin, c’era la neve e l’Avvocato scendeva fuori pista, c’era il mare e “Risula”-Ricciolo (come lo chiamavano gli operai della Fiat), si tuffava totalmente ignudo dalla sua barca, nuotando clandestino nella Grotta Azzurra, spassandosela alla grande lasciando ad altri le incombenze di fabbrica e il conto dei ristoranti, Berlusconi no, l’Etat c’etait lui, week end in Sardegna, la Costa Smeralda praticamente sembrava tutta sua, compreso l’ultimo pezzo conquistato al cocciuto pastore, dopo anni di contenzioso legale. Nessun panfilo stratosferico, nessun bagno come mamma Rosa lo fece, ma la voglia di condividere la festa, la chitarrata o la serata al pianoforte con Aznavour o Tony Blair, fa l’istéss, oppure le notti in dacia con Vladimir, l’adolescenza sulle navi da crociera che Gianni Agnelli nemmeno sfiorava, dedito a frequentare sì i governanti e affini, Kissinger fra tutti, portandosi in yacht John Kennedy ma facendo ballare l’occhio su Jackie, dopo aver giaciuto con Anita Ekberg o, addobbato in total white come un marinaro, trastullarsi in Costa Azzurra, la Costa Smeralda dei favolosi anni, lui seduto, con aria divertita, al tavolino di un bistrot, accanto a Pamela Harriman, già moglie di Randolph Churchill, figlio di Winston.

C’era stato un prima a tutto questo, la guerra comunque vissuta come sulle barche, dunque la narrazione di balletti goliardici in nudità completa, una specie di marchese del Grillo mentre Silvio Berlusconi dalla guerra era sfollato e sulle barche, quelle da crociera si esibiva in melodie per acchiappare fanciulle. Fette di vita comuni, lontane nel tempo ma vicine per spirito, il football li avrebbe poi affiancati nella sfida di denari, fu nell’86 a Torino, nel corridoio del vecchio Comunale, quando la coppia concesse un breve gag riassuntiva. Berlusconi smentì la notizia del premio alla squadra in corsa per lo scudetto, Agnelli attese che il presidente concludesse la promessa e sentenziò: «Lui è il grosso calmieratore del mercato». Anni belli, senza l’odio e i rancori contemporanei, l’Avvocato si divertiva alle parole del Dottore che lui definiva «un po’ come Celentano» per l’arte del cantare, esisteva e resisteva il rispetto reciproco tra capitani di industria, una, in verità, con il ricorso agli aiuti statali, l’altra di tasca propria, pur con l’appoggio di illustri figure della politica.

L’epilogo delle due esistenze è stato simile, sofferenti, nella nebbia della malattia, hanno concluso la loro vita all’alba, come sanno fare i fuoriclasse, consentendo dunque il tempo dei ricordi, del racconto, dell’illustrazione. Gianni Agnelli ha goduto del privilegio di non essere tormentato dagli avversari, debolissimi di memoria pur potendo disporre di materiale corposo, Silvio Berlusconi, al di là degli errori, ha scontato pesantemente la sua scelta politica.

Il libro è ormai chiuso ma la parola fine, per entrambi, non è stata ancora scritta.

Commenti