Gentilissimo Direttore, caro Vittorio;
dopo aver letto le tue riflessioni sul Giornale ho concluso che sì, stiamo esagerando. Anzi, nel rapporto con gli animali (in particolare con i cani) abbiamo decisamente esagerato. Conosco la tua passione (la «stima», come scrivi) verso gli animali, tutti gli animali. Ricordo i bei tempi al Giornale - roba dell'altro secolo, ahinoi - quando alla domenica il Direttore era disperso nelle campagne di Bergamo e non era raggiungibile perché era a cavallo e non c'era verso di potergli parlare. E se anche avessimo provato a fermare il mondo tu, di sicuro, dal tuo destriero non saresti sceso! Un mito.
Da allora, c'è da dire, non sei cambiato: continui ad amare gli animali di un amore sincero, a difenderli anche da improvvisati e a volte ipocriti difensori.
Tutto ciò premesso, vado al sodo. È nelle tue conclusioni dell'articolo di ieri che si annida, a mio avviso, il vero pericolo. Tu scrivi: «In effetti il nostro Paese sta invecchiando (...). Gli anziani però si sentono soli e spesso adottano un cagnolino o un micio su cui scaricare il loro bisogno di voler bene e di essere ricambiati. Già. I figli adulti - non tutti ma quasi tutti - non hanno tempo per i genitori, ritenuti una seccatura, dei quali si rammentano quando questi, stanchi e debilitati, sono da rinchiudere nell'ospizio. (...). Ecco perché gli animali, oltre all'amore, meritano la stima».
Io, Vittorio, non voglio rassegnarmi a questo destino. E mi fa sentire assai triste l'idea di dovermi rifugiare nelle coccole di un cane se la piccola Giorgia, quando tra non molto sarà grande, dovesse smettere di stropicciare la faccia del suo papà o - deformata dallo specchio della cosiddetta maturità - limitarsi a una fuggevole carezza. Io sto facendo di tutto per trasmetterle amore, per trasferirle il valore assoluto del rispetto dei propri genitori che mi è stato trasmesso dal mio papà e dalla mia mamma. Allo stesso modo penso e ritengo che sia una sconfitta dell'Uomo accettare l'assunto di essere destinato a finire catalogato come una «seccatura» per i propri figli. Se succede - e purtroppo succede - non sarà il caso di domandarsi se davvero abbiamo fatto tutto il possibile per costruire e alimentare con loro un rapporto sano? Rassegnarsi, arrendersi all'idea di essere una scocciatura o, peggio ancora, un peso è la nostra sconfitta. Per questo diffido da chi rifiuta il confronto, da chi - anche dopo questa copertina di Panorama - ricorre all'insulto gratuito perché non vuol neppure riflettere sul tema. Si tratta di persone che non leggono: c'è un punto interrogativo sulla copertina («Sicuri che non stiamo esagerando?»), c'è la segnalazione che esistono alcune derive «paradossali» dovute all'«umanizzazione» degli animali domestici. Casi non ancora diffusi, sicuro, ma che sono già rivelatori di una tendenza. Avrai letto - sempre su Panorama - il reportage su quello che sta accadendo in Giappone a proposito del rapporto con i cani. È questa la prospettiva che mi atterrisce: una società che rinuncia a fare figli perché costano troppo o perché sono destinati a tradire i nostri sentimenti e le nostre aspettative. Si chiama egoismo ed è, questa sì, una malattia. Anzi. È la tristissima malattia del nostro tempo, quella che non ci fa neppure pensare per un secondo se sia il caso di allungare la mano verso chi ha bisogno perché l'abbiamo già ritratta voltandoci da un'altra parte.
Vorrei che aprissimo gli occhi per tempo, caro Vittorio, che non ci rassegnassimo a dover invecchiare da soli come i cani (absit inuria verbis) o in compagnia di un cane. Adesso, ti prego, non mi azzannare più di tanto!
Con la stima che sai, ti abbraccio
P.s.: a scanso di equivoci e per prevenire l'imbecille sempre in agguato: amo gli animali e li rispetto, non sono di quelli che inarcano il sopracciglio se un cane scodinzola in spiaggia.
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