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Dolce e Gabbana chiudono i negozi in faccia a Pisapia

Gli stilisti contro l'assessore D'Alfonso, che li ha definiti "indegni di Milano". La replica: "Comune vergogna, fate schifo". E scatta la serrata

Dolce e Gabbana chiudono i negozi in faccia a Pisapia

Milano - Dolce & Gabbana chiudono le boutique di Milano per un giorno. Una sorta di «sciopero del lusso» per protestare contro la miopia del Comune. Come a dire: ecco come sarebbe la città senza di noi.

La querelle con la giunta Pisapia sfocia infatti in un caso che coinvolge mondo della moda e della politica. Mercoledì l'assessore al Commercio Franco D'Alfonso annuncia di non voler concedere né Duomo né Castello Sforzesco ai due stilisti per le loro sfilate di settembre, collezione donna. In realtà le passerelle non sono mai state richieste ufficialmente. Ciò che fa infuriare la maison (e non solo) è la motivazione del no: «Non abbiamo bisogno di farci rappresentare da evasori fiscali». Di fatto l'assessore di Pisapia si inventa quella che sarà la sentenza dei giudici della Corte d'Appello e si dimentica che i gradi di giudizio in Italia sono tre. Si mette in tasca la condanna a un anno e 8 mesi emessa in primo grado, e inchioda sulla graticola i due principi del Made in Italy. Solo dopo, assalito da parecchi compagni del suo partito e dall'opposizione di centrodestra, D'Alfonso smussa i toni: «Sono per la presunzione di innocenza. Il garantismo è un principio universale che vale per tutti». E bla bla bla.

Un «pentimento» che arriva troppo tardi, quando ormai il popolo del web è già insorto contro il Comune di Milano: «Gettate fango sulle poche attività che funzionano», «Affossate il made in Italy». Ma la politica arancione non ci sente e rincara la dose. Il presidente del consiglio comunale Basilio Rizzo (Sinistra per Pisapia) se ne esce chiedendo, per la seconda volta, di revocare l'Ambrogino d'oro a Dolce & Gabbana. I due stilisti ottennero l'Oscar milanese nel 2009, quando la giunta di Letizia Moratti li volle premiare per il loro contributo a valorizzare l'immagine di Milano nel mondo.

Ma, in nome di una sentenza ancora confermata, si vuole gettare alle ortiche anche quello. Al doppio affronto della politica, Domenico Dolce e Stefano Gabbano rispondono con le serrande abbassate. E immaginare il centro di Milano senza le loro boutique vorrebbe dire ridurre introiti e turisti, vip e affari. Non solo. Gabbana lancia in rete un tweet di fuoco: «Comune, vergogna, fate schifo e pietà». A fargli eco è un'infinità di commenti sul social network: sono fans, politici, economisti, stilisti minori, tutti in difesa del marchio. Tutti scandalizzati dalla politica che fa le veci della giustizia. Pisapia, imbarazzato, cerca di fare da paciere: «La battuta dell'assessore è stata improvvida ma la reazione di Gabbana ingenerosa». Al deputato del Pdl Daniela Santanché non basta: «Pisapia chieda scusa ai due stilisti cui l'Italia intera deve molto e la smetta di trattare Milano come un soviet». L'assessore D'Alfonso «stavolta l'ha sparata grossa - insorge il vice del Consiglio comunale Riccardo De Corato - offendendo un marchio tra i più prestigiosi, bandiera di Milano nel mondo.

Dovrebbe piuttosto promuovere la moda, non denigrarla». Marco Osnato, capogruppo di Fratelli d'Italia, chiede lo stesso metro di misura «per le situazioni di illegalità, anche fiscali, di tanti edifici pubblici occupati abusivamente da centri pseudosociali».

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