DOMANDE & RISPOSTE

Vera Slepoj, psicologa e psicoterapeuta, che cosa si può dire della formazione di Agassi, costretto dal padre ad avere successo?
«Ecco, diciamo che la scuola di pensiero del padre di Agassi era controcorrente. Di solito si pensa che bisogna aiutare l’individuo a trovare la sua strada, e che questo porti automaticamente alla realizzazione di sé».
E non è così?
«La teoria del padre di Agassi è diversa: attraverso la fatica, ti spingo a fare ciò che non vuoi. Ma non è sbagliato».
Non è da tiranno?
«Somministrare le fatiche a un figlio non deve spaventare. È ben diverso dal somministrare il dolore. Eppure è la grande nevrosi delle famiglie italiane, che così minano la fiducia del figlio di poter fare qualunque cosa».
Ma non pensa abbia esagerato?
«Certo, le esagerazioni possono portare alla follia. Il genitore vessatorio perché ha un progetto può disconoscere quello che il figlio vuole fare davvero. Ma non mi sembra che Agassi sia poi cresciuto così male...»
Insomma non lo considera negativo?
«Non è detto che un genitore proteso a far realizzare al figlio ciò che desidera lo renda felice: la campana di vetro ti esenta dalle difficoltà e ti rende fragile, il risultato è che non hai fiducia in te stesso».
È peggio allora?
«La vita non è sempre un gioco, prima o poi devi affrontare la realtà. E se la famiglia non la somministra, può causare problemi ben peggiori di quelli di Agassi».


È significativo che a costringerlo fosse il padre, visto che lui era maschio?
«Il genitore di riferimento o consente l’identificazione del figlio (o della figlia), o si batte per un progetto su di lui. È importante: vuol dire che si fida, pensa che porterà a casa il risultato».

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