«Ecco, vedete, ci sarà ancora una volta un gran caos, ma poi non succederà nulla di drammatico, né in negativo né purtroppo in positivo». Con queste parole - riferite dal settimanale Milano Finanza - il presidente della Bce, Mario Draghi venerdì scorso ha sostanzialmente affermato che il potenziale distruttivo di una crisi di governo (con contestuali elezioni anticipate) è pari allo zero per i mercati internazionali.
D'altronde, le Borse, nel valutare i titoli italiani (sia quelli di Stato come i Btp che quelli azionari) incorporano già uno «sconto» - cioè un prezzo inferiore a quella che sarebbe la giusta valutazione - legato all'instabilità del governo Letta. E se Draghi, tutto sommato, non fosse stato convinto della gestibilità della situazione italiana, probabilmente avrebbe fatto un po' di pressing su Standard & Poor's, la temibile agenzia di rating che un giorno sì e l'altro pure minaccia di abbassare la valutazione dell'Italia a «spazzatura». Ma proprio ieri il numero uno dell'Eurotower ha voluto smentire definendo - tramite un portavoce - i rumor come «infondati».
In fondo, sempre venerdì, le aste di Btp non sono andate male con buone richieste da parte degli investitori, anche se il rendimento è aumentato di 20 punti base. Il rapporto deficit/pil è proiettato verso il 3%, cioè nel pieno rispetto dei trattati europei. Praticamente l'Italia è l'unico Paese europeo ad aver fatto i compiti, anche se le sono costati una disoccupazione che ha sfondato il 12% e due giovani su cinque ormai sono senza lavoro. Piazza Affari ha da poco toccato i massimi degli ultimi tre anni e da luglio (cioè con il gabinetto di Enrico Letta già in piena fibrillazione) ha guadagnato circa il 20 per cento.
E allora questo spettro della Troika - l'intervento congiunto del Fondo Monetario, della Bce e dell'Unione Europea a commissariare il Paese - da dove viene evocato? Sicuramente, da quelle parti politiche che con Enrico Letta volevano continuare a «sopravvivere». Ad esempio il Partito democratico, che ha potuto mascherare le sue divisioni interne con il sostegno a un esecutivo che non è riuscito nemmeno a trovare come tagliare un misero miliardo di spesa pubblica per evitare l'aumento dell'Iva al 22 per cento. Oppure dai professionisti della tecnocrazia «bocciati» dal giudizio popolare come l'ex premier Mario Monti che s'è affrettato a dirsi disponibile per «soluzioni credibili».
In realtà, senza il principale partito del centrodestra a reggere il governo, non c'è molto margine di manovra per comporre un esecutivo stabile. Beppe Grillo e il suo «guru» Gianroberto Casaleggio hanno già messo le mani avanti. «Il Movimento 5 stelle non si presterà ad accordi e non darà nessuna fiducia». Se qualcuno volesse ripercorrere la strada tentata da Pier Luigi Bersani, dovrà affrontare lo stesso calvario oppure sperare di raccattare una decina di transfughi. Il mantra dell'ex comico genovese è «andare subito al voto con il Porcellum «per evitare un «super-Porcellum». Beppe ammonisce coloro che sono tentati dal «collaborazionismo» facendo loro intendere che eventuali maggioranze estemporanee «dureranno poco». Pochissimo.
Nelle parole che Mario Draghi stava indirizzando al direttore del Debito pubblico del Tesoro, Maria Cannata, c'è tuttavia anche un retrogusto amaro perché l'ex governatore di Bankitalia, pur non avendo particolare timori da elezioni anticipate, non ha nemmeno aspettative particolarmente positive. L'Italia degli Stefano Fassina, di coloro secondo i quali «non si deve tagliare la spesa pubblica (e quindi il debito), ma rimodularla», non ha grandi alternative all'aumento della pressione fiscale con conseguente aggravamento della recessione.
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