Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi militano nello stesso schieramento, ma raramente si sono viste due persone così distanti tra loro. Affiancati uno all'altro, ieri sera la differenza si è palesata fin dall'abbigliamento: abito classico con cravatta rossa Bersani, camicia bianca con maniche rivoltate Renzi. Essendo lo sfidante, il sindaco di Firenze ha indossato i panni informali dell'attaccante puro. Era lui a dover recuperare consensi in vista del ballottaggio di domenica. Accettando il duello, il segretario Pd giocava in difesa e agiva di rimessa per conservare il vantaggio accumulato al primo round. Ma in qualche caso, usando il tono paternalistico («Matteo, lo devi studiare un po' di più questo argomento»), è riuscito a ribaltare la prospettiva. Attaccante e difensore, comunque: questi ruoli calzano come un guanto sull'indole dei due contendenti. Il rottamatore (...)
(...) ha battuto sul tasto dell'innovazione e del cambiamento. Pur un tantino accigliato, il rappresentante dell'«usato sicuro» ha provato a rassicurare. Da una parte c'è la proiezione nel futuro, dall'altra il peso dell'esperienza. Tuttavia, di fronte alle domande di Monica Maggioni, Renzi è parso più a proprio agio, più moderno nel linguaggio e negli slogan. Come quando ha detto che vuole «rimettere i soldi in tasca al ceto medio»; oppure che «le persone che si alzano alla mattina per andare a lavorare devono tornare a dare del tu alla speranza». Le formule proverbiali, le metafore cui ricorre abitualmente Bersani attecchiscono in tempi più lunghi. E rimane sempre un sapore di «politichese». Con l'eccezione di quando ha replicato che «Equitalia non l'abbiamo inventata noi» e che «le liberalizzazioni sono di sinistra».
Renzi contro Bersani è l'entusiasmo che sfida l'affidabilità. Più efficace il sindaco sulle tasse, l'Europa, la diplomazia con Obama, i tagli alla casta, il conflitto d'interessi e il sistema di difesa. Più convincente il segretario Pd sulla questione meridionale, sulla lotta alle mafie e sulla scuola.
Ma Renzi è andato in rete quando ha detto che in questi anni Bersani è stato «al governo 2547 giorni, adesso dobbiamo fare un passo avanti». È proprio la prospettiva temporale a consegnare un piccolo vantaggio a Renzi. Il quale è, potenzialmente, un leader post-bipolarismo. Dopo anni di frontismo esasperato, con un Paese spaccato a metà, l'ascesa di Renzi può innescare un processo di superamento dei blocchi. Anche se conferma la chiusura nei confronti di Casini, anzi forse proprio per questo, ricorrendo al linguaggio del marketing televisivo si può dire che il rottamatore è un politico più «largo» di Bersani. Ovvero è in grado di catalizzare consensi in strati sociali e schieramenti più eterogenei. È un denominatore comune che gravita dalla sinistra al centro e sposta all'ala esterna il suo contendente. Ecco perché la correzione delle regole del ballottaggio che escludono chi non ha votato al primo turno è cruciale.
Dal canto suo, Bersani è rimasto invischiato nell'insoddisfazione prodotta dalla cattiva politica di questi anni. Per lui è obiettivamente più difficile proporsi come leader della svolta.
Tuttavia, difficilmente il faccia a faccia di ieri sera basterà a Renzi per rimontare il distacco.
segue a pagina 2
Cesaretti, Cuomo e Fontana
alle pagine 2-3 e 4
di Maurizio Caverzan