«Quindi D'Alema va da Renzi a Palazzo Vecchio, e non il contrario. Un segno dei tempi», nota il senatore renziano Andrea Marcucci. E ieri tutta la giornata della politica e del Pd è girata attorno a quello strano incontro di Firenze, tra il rottamato e il rottamatore; tra il figlio del Partito e l'outsider che il partito tratta come un corpo estraneo. E nella liturgia di quello che rimane (anche, o forse soprattutto) l'ex Pci, la foto di Massimo D'Alema che sale le scale di Palazzo Vecchio per stringere la mano all'ex nemico può avere un impatto assai significativo. Nel silenzio ufficiale dal fronte dalemiano trapelava solo una versione assai buonista, secondo cui bisogna appoggiare il tentativo di Bersani di trovare un «presidente condiviso» che gli consenta di provare a fare il governo. E, se il tentativo non riuscisse, creare un «governo del presidente» che si occupi innanzitutto di riforma elettorale. Ma ha tutta l'aria di una versione diplomatica.
L'incontro non è stato di cortesia, lo dice la durata del colloquio, più di un'ora. «Massimo - spiega chi conosce bene l'ex premier - il timore della scissione del Pd ce l'ha, perché conosce le sue truppe e vede le spinte identitarie che crescono e che puntano a scacciare gli intrusi alla Renzi. Ecco, la scelta di andare a Palazzo Vecchio è innanzitutto un segnale alla pancia ex Pci: se toccate lui toccate anche me, Renzi è il Pd». Un banco di prova non secondario delle spinte contrapposte che attraversano il Pd è Roma, dove una parte dei democrat sta pensando a far decollare un listone unitario Pd-Sel-Ingroia in appoggio a Ignazio Marino, come laboratorio di una futura nuova sinistra. Mettendo in subbuglio gli ex Ppi, i veltroniani e i renziani, mentre una parte dei dalemiani, convinta che con Marino si perda, accarezza l'idea di convergere su Alfio Marchini, sperando che a il Pdl molli Alemanno. Mentre Fabrizio Barca si iscrive al Pd, incontra Landini e paragona Vendola a Obama.
D'Alema ha tenuto a dire di aver «apprezzato molto il modo in cui Renzi ha dato una mano a Bersani in campagna elettorale, dimostrando spirito di partito». E il sindaco, dal canto suo, ha ribadito che di andarsene non ha alcuna intenzione: «Che fanno, mi cacciano? Io non accetterò mai l'idea che siccome qualcuno non mi vuole io vado via. Non gliela dò vinta». Che poi l'incontro sia caduto proprio ora, nei giorni cruciali della trattativa sul Quirinale e per il futuro governo, è anche un messaggio non proprio rassicurante per il segretario Bersani. Non solo D'Alema si è preoccupato di definire «un errore» il fatto che il Pd abbia espulso Renzi dalla rosa dei Grandi elettori, «dopo aver preso l'impegno» a votarlo. Ma si è anche premurato di lanciare un siluro non da poco ad uno degli otto punti del programma Bersani, quello sul conflitto di interessi: «Pensare che con una leggina si elimini Berlusconi è un'idea infantile». Miele per le orecchie del Cavaliere.
Bersani nel frattempo smentisce una propria candidatura al Quirinale («Il Colle? Io penso solo ai colli piacentini»). Ieri il tam tam Pd parlava di una possibile intesa con Pdl e Monti sul nome di Paola Severino, ma molti sono convinti che alla fine Bersani possa giocare la carta Prodi. Il quale, dicono i suoi, potrebbe essere «il vero pacificatore, con la forza interna ed internazionale per farlo, e questo a Berlusconi lo si sta facendo capire». Intanto cresce la rivolta degli ex Ppi, convinti che il segretario abbia scartato dalla rosa il «loro» candidato, Franco Marini.
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