E la crisi ha già ucciso centomila imprese

L’allarme lanciato da Confesercenti e Cgia di Mestre. È colpa del peso delle tasse: sfiorato il 69%. Addizionali Irpef senza freni

E la crisi ha già ucciso centomila imprese

Altro che fine del tunnel, la luce non si vede ancora. La crisi continua a colpire forte imprese e famiglie, se sta finendo nessuno se n'è accorto. In un sabato di fine estate si accumulano dati preoccupanti: arrivano soprattutto dal meeting di Confesercenti, dove il presidente Marco Venturi dà appuntamento a tutti per il 2019. Solo allora la nostra economia dovrebbe tornare ai livelli pre-crisi. «Rispetto alla crisi profonda qualcosa si comincia a vedere - concede Venturi - c'è un allentamento, tenderemo a mano a mano a perdere di meno fino a tornare in territorio neutro e poi positivo. Ma è un percorso difficile e ci vorrà molto tempo per recuperare. Il 2103 non è l'anno della ripresa e non lo sarà nemmeno il 2014 perché non ci sarà una svolta dalla crescita economica ma un'uscita lenta e graduale dalla lunga crisi. Per questo la crisi politica fa paura, la politica deve smettere di guardare se stessa e guardi invece ai problemi delle famiglie e delle imprese».

Ed ecco un po' di numeri da paura. Quelli riguardanti il peso del fisco sulle imprese, «quello reale è al 55 per cento, addirittura al 68,3 per cento per le piccole e medie imprese», ciò che fa dello Stato «il socio di maggioranza delle imprese. È arrivato il momento di dire basta, non ci stiamo più». Quelli riguardanti le serrande abbassate, perché «negli ultimi diciotto mesi 101mila commercianti hanno chiuso, per la crisi, le alte tasse, la troppa burocrazia».

Quelli riguardanti il reddito disponibile delle famiglie, che quest'anno «si ridurrà di ben 98 miliardi rispetto a cinque anni fa», sicché le famiglie stesse continueranno a stringere la cinghia, spendendo 4mila euro in meno in media per ogni nucleo, «con un ulteriore calo dei consumi di 60 miliardi che sommati ai danni già prodotti diventeranno 145». Quelli che conteggiano gli adempimenti fiscali che attendono le famiglie nei prossimi 3 mesi, che sono «187 pratiche, al ritmo di due al giorno» e valgono, al netto di Irpef e Iva, «quasi 100 miliardi di euro». Quelli che riguardano il temutissimo aumento dell'Iva, che secondo Venturi va cancellato perché «è una stupidità, una beffa per gli italiani», visto che peserà «per quasi 100 euro sulle tasche delle famiglie, da 3.407 a 3.505 euro annui» senza nemmeno portare «i 3 miliardi attesi, anzi farà perdere 300 milioni deprimendo ulteriormente i consumi». Un'analisi condivisa da federconsumatori e Adusbef, che aggiungono una pennellata al quadro quantificando in 2.407 euro il minore consumo annuo da parte del nucleo familiare medio nel biennio 2012-13.

Una fotografia che rovina il sabato. Né l'umore migliora quando arriva il dispaccio della Cgia di Mestre sulle addizionali regionali e comunali Irpef, che dal 2010 hanno subito una vera impennata. Secondo l'associazione un operaio con un reddito annuo di 20mila euro tra il 2010 e il 2013 si è visto trattenere 89 euro in più all'anno, un impiegato con un reddito annuo di 32mila euro 117 euro e un quadro con un reddito annuo di 60mila euro (pari a uno stipendio mensile netto di quasi 3.100 euro) ben 284 euro. E per il 2014 non c'è da attendersi buone notizie. «Quest'anno - fa notare Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia - gli enti locali hanno tempo sino al 30 novembre per decidere le aliquote dei tributi e delle tariffe comunali» e viste le «molteplici incertezze e problematiche che i sindaci devono affrontare, si pensi all'Imu e alle risorse compensative che dovrebbero ricevere dall'erario, la tentazione di ritoccare all'insù le aliquote delle addizionali comunali Irpef è molto forte.

Per l'anno in corso sono 40 i Comuni capoluogo di provincia che hanno già deliberato l'aliquota. Undici l'hanno aumentata e gli altri 29 hanno confermato l'aliquota del 2012 che in 13 casi era già stata innalzata al livello massimo dello 0,8 per cento». E ora trascorrete una buona domenica, se potete.

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