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E Fini si autoassolve anche per i pestaggi alla Diaz Al G8 del 2001 La memoria corta di Gianfranco

Roma «Sono molto dispiaciuto che Fini, che pure il G8 a Genova l'ha vissuto di persona, parli di “ombre sulla democrazia” riferendosi alla condanna delle forze dell'ordine, e non ai black bloc che hanno messo a ferro e fuoco la città». Filippo Ascierto, parlamentare del Pdl e carabiniere in quiescenza, replica a muso duro alle parole del presidente della Camera, che a Repubblica tv s'è «assolto» da qualsiasi ruolo sugli eventi della Diaz («non posso ammettere responsabilità perché non ci sono»), aggiungendo di non aver «alcuna difficoltà a dire che quelle immagini, e la successiva condanna, hanno gettato un'ombra sulla credibilità della nostra democrazia».
Sui fatti della Diaz persino il parlamentare «in divisa» Ascierto ha detto di «rispettare la sentenza», ma la cosa che non va giù all'ex An è la metamorfosi del suo ex leader: nel 2001 al fianco di polizia e carabinieri, ora pronto a evocare ombre altrui e a far svanire le proprie per la vicenda Diaz. Oltre a restare insolitamente silenzioso, per esempio, all'indomani della condanna dei no-global processati per le violenze del luglio 2001. Fini, al G8 di Genova, c'era stato. Come lui stesso ha ricordato nell'intervista, all'indomani della morte di Carlo Giuliani si era precipitato a portare la sua solidarietà ai carabinieri, infilandosi nel forte San Giuliano, sede del comando provinciale dell'Arma, per uscirne dopo più di sei ore. Solo una visita di cortesia, ha spiegato a Repubblica Tv: «Rimasi sei-sette ore all'interno della caserma perché Genova in quel giorno era attraversata da migliaia di manifestanti con un corteo che poteva determinare ulteriori rischi di incidenti». Nella centrale operativa della Questura, invece, «non ho mai messo piede», è solo «una fandonia», prosegue Fini. Che rimarca il concetto della sua estraneità, spiegando che «quello che accadde alla Diaz, l'ho appreso dai giornali il giorno successivo». L'intervento del presidente della Camera sembra cascare a fagiolo per consentirgli di deviare da sé attenzioni non gradite: dopo la sentenza di luglio, molti avevano evocato la sua ombra nelle pieghe della vicenda. Tra questi anche Michele Serra, che in un'«Amaca» nella quale ipotizzava un legame tra i fatti della Diaz e lo «strappo» di Gianfry dal Pdl (avvenuto 9 anni dopo), parlava di un Fini «soprattutto evasivo e reticente» a proposito delle violenze di Genova. Così, di fronte ai dubbi e ai musi storti di chi si domanda che partita giocò il leader di Fli undici anni fa, ecco che il «nuovo» Fini proprio con Repubblica decide di tornare a parlare del G8, su cui non è mai stato loquace. E ai dubbi del giornalista, replica secco: «Le pare che se avessi avuto un qualsivoglia ruolo, la magistratura non avrebbe almeno chiesto di sentirmi?». Ecco, l'ultima difesa non è convincente.

Quando la procura di Roma nel 2010 aprì un'inchiesta sulla svendita della casa di Montecarlo, pur indagando Fini (per un giorno solo, l'ultimo prima dell'archiviazione) si guardò bene dal disturbarlo per interrogarlo. E un ruolo, lì, non fosse altro in quanto leader del partito che s'era disfatto della casa, e cognato dell'uomo che ci era andato a vivere, Gianfry ce l'aveva, no?

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