E lascia il San Raffaele: «Sono un po' stanco»

Milano Il volto è pallido: «Sono stanco», spiega Silvio Berlusconi ai cronisti che lo aspettavano da ore. «Mi hanno dato un paio di giorni, li faccio volentieri a casa». Sono le otto della sera, il freddo è pungente, il Cavaliere si lascia alle spalle una settimana di degenza al San Raffaele. Indossa un cappellino con la visiera e tiene in mano gli occhiali che dovrebbero proteggere gli occhi affaticati. Si avvicina all'auto e si appoggia per un istante al predellino. Piazza San Babila, con la rifondazione del partito in un convulso pomeriggio milanese, è lontana. Dietro di lui le telecamere inquadrano il Diamante, il reparto in cui ha trascorso gli ultimi giorni, ricoverato, dopo un primo passaggio in oculistica, in una luminosa suite al sesto piano. Qui ha trascorso anche le ultime ore, fra controlli, visite e telefonate. Il Cavaliere, che in realtà non ha mai perso il boccino della politica, chiama numerosi colonnelli del Pdl. Alza la voce, s'infervora, si sfoga quando lo informano sulle ultime evoluzioni in casa Pd: «Il Pd si è dimostrato il partito dell'odio di classe, il partito che odia i benestanti e vuole penalizzarli». Fra un saluto e una chiamata continuano gli accertamenti, gli ultimi prima di tornare ad Arcore. Due volte viene portato in oculistica per proseguire la cura contro l'uveite. Qualche paziente lo riconosce, si ferma per una stretta di mano. Avanti e indietro per l'ospedale. Rientra nell'appartamento, sempre seguito dall'onorevole Maria Rosaria Rossi che in questi giorni non lo hai mai perso di vista. Un'altra chiamata, il quadro politico è frammentato, sempre più nebuloso, le scadenze s'intrecciano. L'umore è pessimo, alla fine sbotta: «Basta presidenti della Repubblica di sinistra, voglio un presidente di garanzia».
Ora Alberto Zangrillo, il primario del San Raffaele suo medico personale, lo chiama per un ulteriore check. Questa volta è la pressione: i valori ora sono buoni. «Berlusconi - dice Zangrillo - adesso è normoteso. La pressione massima che era schizzata all'insù, fino oltre duecento, è scesa e si è stabilizzata su valori accettabili». Le verifiche confermano: lo stato generale è buono, il Cavaliere può rientrare ad Arcore.
Alcuni infermieri bussano per il congedo. Da Roma gli aggiornamenti non portano nulla di buono. E anche a Milano il clima non è dei migliori. Gli specialisti, spediti dal tribunale in versione San Tommaso per valutare la gravità della sua patologia, avevano descritto un quadro allarmante e, addirittura, «un elevato rischio per la salute». Con quegli sbalzi di pressione che non promettevano nulla di buono. Pareva che quella diagnosi potesse fermare per un attimo la corsa verso l'imbuto della sentenze dei due processi Ruby e Mediaset. E poi c'era stato l'appello del presidente Napolitano sul diritto di Berlusconi a partecipare a questa delicatissima fase politica. Il risultato è un calendario affollato come non mai di udienze. La settimana che sta per cominciare sarà particolarmente difficile, tra il risiko a Roma e quello al tribunale di Milano. Senza contare quel che succede a Napoli con la richiesta della procura di processare il Cavaliere per la compravendita dei parlamentari, saltando il filtro dell'udienza preliminare. Alle otto della sera, finalmente, il Cavaliere è pronto. Scende al piano terra, supera la porta a vetri, incrocia i giornalisti. «Sono un po' stanco. Mi faccio volentieri due giorni a cassa». Gli chiedono del governo: «Se ci saranno persone con la testa sulle spalle si farà, si deve fare».

Fa ciao ciao con la mano e scivola dentro la macchina che parte immediatamente. Ad Arcore dovrà maneggiare il collirio perché la cura agli occhi non è finita. E il primario Francesco Bandello gli ha già fissato l'appuntamento: fra una settimana.

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