RomaRaccontano i ben informati nel Pd che ieri, da Palazzo Chigi, sono arrivate dalle loro parti pressanti richieste di sostegno, dopo l'esplosione della bomba Wall Street Journal.
Di fronte al profluvio di sdegnati attacchi del Pdl al premier, gli altri alleati della maggioranza di governo sono stati invitati a pronunciarsi a favore del premier. E così, come ha subito rilevato ironicamente il senatore Pd Stefano Ceccanti, ieri è successo «un fatto unico dall'inizio dell'esperienza Monti»: il responsabile economico del partito di Bersani, Stefano Fassina, punta di lancia dell'ala «laburista» e critico implacabile delle politiche economiche e sociali del Professore e dei suoi ministri, è sceso in campo a difesa del premier: «Monti ha raccontato solamente la verità, nota a tutto il Pdl: è un dato di fatto che Berlusconi non se ne sia andato per cortesia ma perché l'Italia era ad un centimetro dal baratro», tuona Fassina. E aggiunge: «Non c'è dubbio: o lo spread sarebbe a 1200 (come detto da Monti, ndr) oppure l'Italia sarebbe già da mesi sotto un programma tipo quelli che hanno l'Irlanda o il Portogallo». Fassina si schiera con Monti, dimenticando pure di rimbeccarlo sulle frasi dure da lui pronunciate (sempre con il quotidiano americano) contro la concertazione, «una pratica utilizzata in modo troppo esteso in passato», anche perché la concertazione «è come il dentifricio: se non lo chiudi, finisce tutto fuori». Giudizi che fanno insorgere i sindacati.
Gli analisti più sottili fanno notare che l'esternazione su Berlusconi e lo spread che ieri ha mandato in bestia il Pdl «non sembra quella di chi aspira al Quirinale», per raggiungere il quale i voti del medesimo Berlusconi potrebbero tornare utili se non indispensabili. Sembra piuttosto, come sottolineava ieri il pidiellino Giuseppe Moles, la presa di posizione di un professore «che ha scoperto che fare il politico gli piace, e che guarda già allo schieramento che, secondo i calcoli attuali, dovrebbe vincere le elezioni». Ossia a quella «larga coalizione» da Vendola all'Udc, ma senza il Pdl, di cui ragionava ieri Pier Ferdinando Casini sul Corriere della Sera.
Insomma, più d'uno in casa Pd è convinto che il Professore non escluda affatto di tornare a fare il premier anche nella prossima legislatura, tanto più che - se le elezioni in autunno sembrano ormai un'ipotesi archiviata - crescono nel Palazzo le quotazioni di uno scioglimento «tecnicamente» anticipato a fine gennaio per votare a marzo-aprile, con Napolitano ancora in carica a dare le carte. Molto, ovviamente, dipenderà dall'evoluzione della crisi Ue dall'eventualità - niente affatto sventata - che l'Italia debba chiedere l'attivazione dello scudo anti-spread, con conseguente e pesante condizionamento esterno delle future agende di governo, che metterebbe in grande difficoltà la sinistra e farebbe vacillare subito l'alleanza con Vendola
Molto dipende anche dalla legge elettorale con cui si andrà al voto. Gli ottimisti assicurano che «l'intesa in linea di massima c'è, e resta da definire solo entità e destinazione del premio di maggioranza», se al partito o alla coalizione, come assicura Francesco Boccia. Più d'uno, nel Pd, dubita però assai che Berlusconi sia disposto far passare un premio che sarebbe «un regalo al Pd», e rafforzerebbe le chance di Bersani per la premiership. Paolo Gentiloni si dice però certo che il Pdl non abbia margini di manovra per opporsi: «Sono loro che non possono permettersi assolutamente di andare al voto con il Porcellum, che avvantaggerebbe troppo il centrosinistra, quindi pur di cambiarlo saranno disposti a cedere».
Ieri l'ultima riunione del comitato ristretto che al Senato si occupa di legge elettorale è andata come previsto a vuoto, la partita è rinviata a settembre «e tutte le ipotesi che si fanno ora potrebbero non essere più valide tra un mese», dice Ceccanti.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.