Non la scissione, ma il congresso straordinario: con l'obiettivo di buttare Renzi fuori dal Pd. Se il sindaco di Firenze dovesse vincere le primarie, lo «scontro politico» preannunciato da Massimo D'Alema a Otto e mezzo si tradurrebbe nella richiesta di un congresso immediato, prima delle elezioni, per decidere chi comanda davvero. E per «espellere» il Rottamatore.
A rivelare il «piano B» del fronte anti-renziano è un intellettuale di lungo corso, Beppe Vacca, per molti anni deputato del Pci e oggi direttore dell'Istituto Gramsci, politicamente vicino a Bersani e soprattutto, per sua stessa ammissione, a D'Alema. In una sorprendente intervista al Fatto, Vacca espone il piano di battaglia: «Se le primarie le vince Renzi si farà una lotta politica. Con un regolamento di conti in un congresso. È chiaro che un segretario della statura di Renzi il Pd lo espelle rapidamente», perché «lui non ha il controllo dei delegati». Renzi - Vacca ne è convinto - «in un partito grande e complesso come il Pd non regge due mesi». E il congresso va convocato subito perché «è necessario per la salute dell'Italia».
Se Vacca non ha parlato a caso, lo scenario che si profila è drammatico: per impedire la vittoria di Renzi alle elezioni politiche - questo significa «per la salute dell'Italia» - il Pd è pronto a rovesciare il responso delle primarie con un congresso, cioè con l'adunata generale dell'apparato, dei funzionari e dell'intero ceto politico periferico, chiamato in pompa magna a «espellere» il giovane eretico e a riprendersi il potere.
Che davvero il gruppo dirigente del Pd voglia usare la bomba atomica contro il sindaco di Firenze, sembra confermarlo anche una risposta sibillina consegnata venerdì da D'Alema ai giornalisti che gli chiedevano se, in caso di vittoria di Renzi alle primarie, lo avrebbe appoggiato alle elezioni. «Questo è un altro discorso - ha detto D'Alema - Renzi del resto non chiede di essere appoggiato: vuole mandarci in pensione, anzi, come ha detto, ai giardinetti». In realtà il Rottamatore ha sempre promesso lealtà a Bersani, in caso di sconfitta, e ha chiesto ripetutamente a Bersani di fare altrettanto. Ma né lui né D'Alema hanno voluto accontentarlo.
Tanto nervosismo nel fortino bersaniano si spiega con l'affluire dei sondaggi. Se l'Swg è convinta del netto vantaggio del segretario (38% contro il 23% di Renzi), altre ricerche più riservate documentano una crescita continua del consenso per il sindaco di Firenze, anche dopo la decisione di Veltroni e D'Alema di non ricandidarsi, e prevedono un pareggio fra i due entro i prossimi dieci giorni. La stessa ricerca sottolinea come molto dipenda dalla partecipazione: sopra i 3 milioni di votanti al secondo turno, Renzi può farcela.
La corsa di Bersani, insomma, si sta facendo davvero difficile, anche perché il «piano A» - limitare per quanto possibile l'affluenza dei votanti ai gazebo - mostra qualche falla. Il doppio turno, infatti, sarà di fatto «aperto», grazie anche alle pressioni di Vendola e nonostante la tenace resistenza di Rosy Bindi: potrà insomma votare chiunque, anche chi non ha votato al primo turno.
Per arginare la partecipazione - che è l'unico, vero spauracchio del Botteghino - Bersani sta lavorando a un nuovo ostacolo. Fallito il tentativo di blindare il secondo turno, gli uomini del segretario sono ora concentrati sull'Albo degli elettori. L'idea è di obbligare i cittadini non soltanto a sottoscrivere un elenco pubblico di «elettori democratici e progressisti», ma di farlo in un luogo fisicamente distinto e separato dal gazebo dove poi si potrà votare. «Le regole - s'è lasciato sfuggire lo stesso Bersani al Cern di Ginevra, venerdì scorso - possono anche mettere in difficoltà qualcuno, viene qualcuno in meno ma si crea così una comunità di democratici e progressisti».
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