E il Veneto non tradisce Pdl e Lega

E il Veneto non tradisce Pdl e Lega

Missione compiuta: il centrodestra tiene il Veneto, una delle regioni date per sicure alla vigilia. Il calo dei consensi è sensibile: cinque anni fa Pdl e Lega al Senato avevano il 54%, ieri sono scesi al 33. Questo tuttavia non si ripercuote sui seggi a Palazzo Madama: i due partiti ne avevano 15, probabilmente ne manterranno 14 (9 ai berlusconiani e 5 al Carroccio). Disfatta per il centrosinistra che nel 2008 superò il 31 per cento (27 al Pd e 4 all'Idv) con 8 seggi che dovrebbero dimezzarsi essendo il Pd sceso quasi al 20 per cento. Il movimento 5 Stelle è al 25.
I grillini hanno svuotato la Lega che ora arranca attorno all'11 per cento contro il 27 di cinque anni fa e addirittura il 35 ottenuto alle regionali del 2010, quando fu eletto governatore Luca Zaia. È un risultato disastroso per quello che era diventato l'«azionista di maggioranza» della segreteria federale di Roberto Maroni. Lega e Pdl governano assieme la Regione, tra alti e bassi. Ora si apre una fase molto difficile. La Lega è messa nel mirino dall'esterno, cioè dagli alleati insofferenti del Pdl, ma soprattutto al proprio interno.
L'imputato numero uno del brutto risultato è Flavio Tosi, il nuovo segretario regionale. I «bossiani» epurati dalle liste rialzano la testa. Massimo Bitonci, ex sindaco di Cittadella e unico sopravvissuto alle «purghe» tosiane (era capolista al Senato, il solo certo dell'elezione tra i fedelissimi veneti del Senatur), parla apertamente di «nuovo congresso se i militanti lo vogliono». «Abbiamo pagato il coinvolgimento con Berlusconi, siamo stati penalizzati», protesta.
Con lui c'è il capofila della protesta anti-Tosi, il padovano Santino Bozza che in campagna elettorale aveva annunciato che non avrebbe votato il Sole delle Alpi pur mantenendo la tessera. «Sarei felicissimo - ha detto a caldo - se la Lega prendesse una lezione, due persone non possono decidere la politica di un'intera regione. Proponendo liste da vergogna, hanno fatto quel che hanno voluto, senza rispettare il territorio».
Nemmeno Tosi nasconde la sconfitta: «Abbiamo pagato l'accordo con Berlusconi. Ne sarà valsa la pena soltanto se Maroni diventerà governatore della Lombardia». I dati mostrano che la fronda interna si è fatta sentire soprattutto a Padova e Venezia: nel collegio Veneto 2 della Camera la Lega è andata peggio che in Veneto 1. Paradossalmente questo risultato potrebbe accelerare il disegno di Tosi che punta a trasformare la Lega sul modello della Csu bavarese, un partito rappresentativo di interessi territoriali e non di gruppi di potere interno. Ciò significa, spiega ancora Tosi, che se si andasse verso un accordo Pd-Pdl il Carroccio «se ne starebbe fuori», pronto però a valutare «le proposte serie una per una, e vedere cosa è buono e cosa è meno buono».
Esultano invece i colonnelli berlusconiani, in particolare i due capilista Renato Brunetta (Veneto 2) e Giancarlo Galan (Veneto 1). L'ex governatore ha il dente più avvelenato: fu sacrificato tre anni fa per fare posto a Zaia e subì la ferita del sorpasso storico realizzato dalla Lega. Per lui è una sorta di rivincita. «Se in Regione non si tenesse conto del risorpasso vorrebbe dire non tener conto di quello che pensa l'elettorato - sostiene Galan -.

Io mi aspetto che i miei del Pdl veneto vadano da Zaia e gli dicano che non esiste che, in un rapporto di voti 2 a 1, presidente e assessore alla Sanità siano di chi ha uno. Noi rifiutiamo la protesta sterile, confermiamo l'alleanza con la Lega che vogliamo estendere alle realtà locali, ma non può non cambiare nulla».

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