«Ecco chi è Belsito: lo aiutai e mi ha rovinato»

Era vestito da accattone: gli diedi pure la mia card

«Ecco chi è Belsito: lo aiutai e mi ha rovinato»

Ermanno Pleba è stato uno di quei manager che all’epoca della Dc si chiamavano boiardi ed erano il vero simbolo del potere politico. Il suo nome spunta fuori rovistando nei cassetti impolverati della Liguria, nella caccia a ritroso su Francesco Belsito, il tesoriere che ha moltiplicato i pani e i panni sporchi leghisti e che adesso nessuno si assume la responsabilità di aver fatto salire sul Carroccio. «Arrivò col vecchio tesoriere, Maurizio Balocchi, quindi ci fidammo» si limitano a dire i leghisti. Ma Balocchi è morto da un po’, peccato. Pleba, potente lo era ancora nel 1999, quando, dice, fu Roberto Levaggi, ex Dc allora esponente di Forza Italia, a portargli Belsito. Levaggi nega, ma questa è un’altra storia. La storia di Pleba e Belsito, invece, è tutta da ascoltare. Ora che è un ottuagenario, Pleba pare dimenticare alcune cosucce di sé, tipo l’inchiesta per bancarotta e fatture false che lo vide indagato con Belsito per il crac della loro società, la Cost Service, nel 2001. Del resto i due soci se ne sfilarono agilmente, visto che nel 2004 il tutto venne archiviato. E adesso eccolo accusare: «Belsito mi ha spremuto e poi spennato».
Partiamo dall’inizio.
«All’inizio mi fece pena. Venne da me vestito come un accattone, decisi di aiutarlo».
Lei sedeva nei Cda di mezza Liguria, i mezzi li aveva.
«Gemeaz, Oto Melara, Termomeccanica... La Dc mi mise ovunque, io ne tutelavo gli interessi».
Poi arriva Belsito.
«E io abbocco».
Che fa?
«Intanto lo vesto: gli compro il cappotto, i pantaloni. Lui aveva un’impresa di pulizie, e io ero in Stazioni Marittime Spa. Gli feci avere appalti per circa 600 milioni di lire».
È un’autodenuncia?
«Ma vede, allora non si facevano sempre le gare pubbliche».
Bei tempi, eh? Belsito comunque ringrazia.
«Mica tanto. Gli presto la carta di credito, doveva comprare un biglietto aereo. E lui spende 20 milioni in tre giorni».
Poco credibile, scusi.
«Lo so. Ma non avevo un tetto massimo, capisce? Mia moglie era inferocita, perché Belsito aveva vestito anche la sua, di moglie, e si era comprato persino il profumo».
Lei non lo denunciò, però.
«Diciamo che gli ho fatto un regalone. Come il Rolex, uguale».
Rolex?
«Un giorno me lo chiede in prestito, dice che ha un appuntamento importante e vuol fare bella figura. Quando glielo chiedo indietro, dice di averlo venduto».
Altro giro altro regalo...
«Ma vede, per me “Bel” era come un figlio. E poi sa farsi voler bene. Anche ai leghisti: gli portava focaccia e vino bianco tutti i giorni».
Lei ci entrò pure in società.
«La Cost Service, dannazione a me. Ci investii 400 milioni. Altri 600 in un affare immobiliare, pure quello andato male».
Pleba il buon samaritano.
«Guardi. Lo so. Io restavo lì come resta lei adesso, allibito. Quella santa donna di mia moglie che è rimasta lo stesso con me mentre lui mi rovinava glielo potrà dire. Il fatto è che quando commetti certi errori madornali il cervello tira giù una saracinesca, per non dover ammettere che sei un somaro».
Somaro e senza tetto.
«Abbiamo salvato due appartamenti su sei. Gli altri li abbiamo dati alla banca, insieme all’eredità di mia moglie, per pagare i debiti. Mentre lui, che viveva a Quezzi, un quartiere popolare, in pochissimi anni s’è comprato due attici nei quartieri bene di Genova e gira in Porsche».
Non gli ha mai chiesto di restituirle i soldi?
«Quando iniziò a collaborare con Balocchi mi diceva: è quasi cieco, presto prenderò il suo posto e allora ti restituisco tutto. Eh già, perché lui invece ci vede benissimo, ed è abilissimo coi soldi degli altri».
E poi?
«È sparito.

Quattro anni che non lo vedo. Ma se lo incontro cambio marciapiede. Per me è morto. Ma c’è una cosa su tutte che mi fa imbestialire».
Sarebbe?
«Perché, se non è più sottosegretario e nemmeno parlamentare, gira ancora con la scorta?».

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