Ecco gli enti che nessuno taglia: ci costano 7 miliardi

Lo studio dell’Unione delle province: "Strutture create dal nulla per spartire poltrone". In Italia esistono oltre 3mila consorzi pubblici: dalla tutela della gondola, alle piante da legno

Ecco gli enti che nessuno taglia: ci costano 7 miliardi

Roma - Trentanove enti pubblici superflui tagliati da Monti, una goccia in un mare: 3.127 enti, consorzi, società partecipate da regioni, province e comuni. Il calcolo lo ha fatto l'Upi, cioè l'Unione delle province, per indicare dove la spesa pubblica diventa un fiume in piena e spostare la scure sugli enti strumentali. Gli enti, catalogati dal ministero dello Sviluppo economico, costano circa 7 miliardi di euro l'anno, di cui 2,5 miliardi solo per i consigli di amministrazione. Dentro c'è veramente di tutto. In Veneto c'è l'«Istituto per la conservazione della gondola e la tutela del gondoliere», un «Consorzio intercomunale soggiorni climatici di Verona», un «Istituto culturale delle comunità dei ladini storici delle Dolomiti bellunesi», e una «Fondazione centro studi transfrontaliero del Comelico e Sappada». In Piemonte c'è il Centro piemontese di studi africani, un Istituto per le piante da legno e l'ambiente e un Centro internazionale del cavallo. In Emilia Romagna è aperto un Centro di documentazione di storia della psichiatria.
È proprio l'Emilia Romagna la regione con più enti strumentali (368), seguita da Lombardia (297), Toscana (267), Campania (262), Veneto (258), Piemonte (253), Liguria (220), Sicilia (206). Quella che ne ha di meno è il Molise (21), che infatti è la regione più piccola e meno popolosa. In Campania, tra i consorzi, ce n'è uno che si occupa delle «applicazioni dei materiali plastici per i problemi di difesa dalla corrosione». In Puglia c'è un Istituto pugliese di ricerche economiche e sociali e poi un Ente autonomo fiera mostra dell'Ascensione di Francavilla Fontana. «Strutture create dal nulla spesso per spartire poltrone e gestire potere - attaccano dall'Upi - . Rappresentano le stanze segrete della politica, di cui i cittadini ignorano perfino l'esistenza. Anche se sono loro, con le loro tasse, a finanziarle e a tenerle in vita».
Discorso a parte meritano i Consorzi di bonifica. A guardare i numeri sembra di vivere non in Italia ma in un paese tropicale, con paludi. I consorzi di bonifica vengono istituiti nel 1933, da un regio decreto, negli anni dell'Agro pontino da bonificare. A ottant'anni di distanza ce ne troviamo ancora 91, ognuno con un consiglio dei delegati, un presidente, un collegio dei revisori dei conti. Enti pubblici con funzioni che già svolgono le regioni, le province e i comuni, e in alcuni casi anche società specifiche (come l'Ardis, l'Agenzia regionale per la difesa del suolo, della regione Lazio). Solo in Veneto ce ne sono 21, dal Consorzio di bonifica Basso Piave al Consorzio di bonifica Sinistra Medio Brenta. Poi ci sono gli Ato, (Ambiti territoriali ottimali), organismi dotati di uffici, consigli di amministrazione, sedi, etc, che si occupano di gestire le risorse idriche e i rifiuti, e che secondo un decreto del 2010 dovevano essere soppressi e le loro funzioni assegnate a province e comuni. A due anni non è ancora successo nulla, e la data della soppressione è stata spostata (ancora), col milleproroghe del governo Monti, al 31 dicembre 2012. In tutto sono 222 (91 Ato acque, 131 Ato rifiuti) e costano oltre 240 milioni di euro l'anno. Ci sono poi 63 bacini imbriferi montani (Bim), enti che raggruppano tutti i comuni che ricadono all'interno di un bacino imbrifero montano di un fiume. «Il principale scopo dei consorzi Bim - si legge nel loro sito ufficiale - è quello di favorire il progresso economico e sociale della popolazione abitante nei Comuni consorziati». Anche qui era prevista la soppressione e il trasferimento delle funzioni ai comuni o alle province. Poi è stata soppressa la soppressione. Solo nel 2011 sono costati oltre 150 milioni di euro.
Costantemente la Corte dei conti esprime giudizi negativi sui troppi enti e società partecipate, ma inutilmente. Recentemente la Sezione Controllo per la Sardegna della Corte dei Conti ha bocciato il rendiconto regionale. In particolare sull'eccesso di costi e personale degli enti regionali, dove sono impiegati la bellezza di 3.

349 dipendenti, con un costo di 230 milioni di euro. Le società partecipate dalla regione Sardegna invece sono 32, con 4.316 stipendiati. E una costante rilevata dalla Corte: «Quasi tutte le società presentano perdite d'esercizio».

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