Ci mancava anche lo sciopero della Rai, il (dis)servizio pubblico radio-televisivo. Del resto, le grane non vengono mai da sole. Ora che lo spread ha ripreso a salire e la popolarità di Monti a scendere, che la Spagna è stata declassata e magari presto toccherà a noi, per non farci mancare niente, appunto, le rappresentanze sindacali di Viale Mazzini hanno proclamato per il prossimo 9 maggio un bello sciopero «dalle ore 19 alle 21, momento in cui - precisa la nota - vanno in onda i principali tg in tutta Italia». Pazienza, schiacceremo un tasto sul telecomando e faranno più ascolti gli altri telegiornali.
Tuttavia, le eliche girano lo stesso. Abbiamo appena pagato il canone, aumentato quest’anno di un euro e 50, eppure i conti della Tv di Stato continuano a non tornare. Così ai sindacati non viene in mente niente di meglio che incrociare le braccia. La decisione è giunta al termine di un presidio di lavoratori sotto la Direzione generale di Viale Mazzini al quale hanno partecipato l’immancabile Susanna Camusso (Cgil) e Raffaele Bonanni (Cisl). Il prossimo 4 maggio, in occasione della riunione dei soci per l’approvazione del bilancio 2011, ce ne sarà un altro di presidio, probabilmente ancora confortato dalla presenza della Camusso. La proclamazione dello sciopero segue a stretto giro il rinvio della riforma della governance Rai, peraltro annunciata da Monti quando fu ospite di Fabio Fazio. L’attuale Cda in scadenza sarà avvicendato seguendo i criteri della legge Gasparri.
È questo il casus belli della faccenda. Il bersaglio dello stato d’agitazione è la direzione di Lorenza Lei allo scopo di esasperare lo scontro e sollecitare nuovamente l’intervento del governo. Proprio l’altra sera a Servizio pubblico Santoro è sbottato: «Che cosa impedisce a Monti di nominare un nuovo presidente della Rai?». Nel comunicato dello sciopero si legge anche della necessità del «rinnovo del contratto nazionale scaduto da 28 mesi» e «della difesa dell’assetto industriale ed editoriale del servizio pubblico». Fuori dal sindacalese, per esemplificare, si citano le questioni «ancora aperte». Tra le quali «la cessione degli impianti di Rai Way», la chiusura di Rai internazionale, di Rai Med e «l’idea di vendere palazzo Labia a Venezia». Persino.
Per rientrare dal passivo dei conti e dal calo delle entrate pubblicitarie, da qualche parte bisogna pur ridurre le spese. Ma Carlo Verna (Usigrai) lamenta «tagli incongrui». E magari ci sarà del vero. Difficile, per esempio, giustificare certe sforbiciate ai budget delle reti digitali (Rai4, Rai5, Rainews) e di Rai Cinema. Soprattutto a fronte di certe principesche consulenze a ex dirigenti in pensione. Tuttavia, non si può non definire almeno altrettanto «incongrua» la richiesta del sindacato di un aumento del 2 per cento dello stipendio per tutti i dipendenti. Al diniego dei vertici aziendali, è scattato il solito, prevedibile, annuncio. Un’iniziativa difficilmente comprensibile.
E nel quale tutti tiriamo cinghia per pagare le tasse che il governo dei tecnici quasi quotidianamente ci regala. Ma tant’è, sciopero. La fantasia non è esattamente il punto di forza dei sindacati.
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