Il primo a dirlo, in fondo era l’unico che non ci credeva. «Se ti ricandidi al congresso io ti voto», ha detto Roberto Maroni a Umberto Bossi nel doloroso giorno del pianto e delle dimissioni del Senatùr. Poi sono arrivati gli altri: Luca Zaia, Roberto Castelli, Manuela Dal Lago e una miriade di dirigenti di prima o ultima fila e di correnti diverse, tutti a dire che non è detto che il capo non si riprenda il suo posto al congresso di settembre. Solo l’onore delle armi oppure la tentazione di tenerselo, l’Umberto, senza il quale nessuno sa se arriverà più un voto? Il fatto è che alla fine sarà ancora il vecchio leone a decidere i giochi. Anzi, il suo gioco è già nei fatti. Per un Bobo che ha già fatto partire le purghe, c’è un Umberto che la sua strategia l’ha messa in atto fin dal primo minuto, quando si è dimesso lasciando la segreteria federale a un triumvirato, forzando lo statuto che indica che sia il presidente del partito ad assumere i poteri in caso di dimissioni del segretario. E il presidente adesso è Bossi.
Ieri i maroniani erano preoccupati. Hanno fatto una cena a Varese, la patria sia di Maroni sia di Bossi. E se la sono detta chiara: «La verità è che Umberto è stato geniale un’altra volta. Ci aspettavamo che lasciasse la reggenza a Bobo, invece ha fatto un triumvirato tenendosi la presidenza. Come nel Gattopardo: ha cambiato tutto per non cambiare nulla. Comanda sempre lui». È in questo quadro che vanno lette le ultime dichiarazioni di Bossi, dal «deciderò all’ultimo se candidarmi al congresso» a quelle di ieri: «Io adesso devo stare un passo indietro, hanno tirato dentro i miei figli in questa cosa tremenda...», e poi: «L’unica cosa che posso fare è tenere unita la Lega».
Eccolo, il piano. A da passà ’a nuttata, per dirla come non la direbbe Bossi. Certo, tutto dipende da come procederà l’inchiesta sulla cassa. Ma se, come crede, riuscirà a uscirne indenne, non solo Bossi potrà vantare di aver dato le dimissioni subito, gesto che in Italia appartiene solo agli eroi. Ma potrà tornare da vincitore. «Se ne uscirà come una vittima, quella sarà la sua forza. Bossi non è un ragioniere, ma un capitano d’industria: ha sempre avuto una visione politica più lucida degli altri, e a quanto pare è ancora così», se la ride un deputato cerchista. Che aggiunge: «Basterà aver tolto ogni ombra nel frattempo, magari il capo potrà dire a tutti: ho sbagliato a candidare Renzo in Lombardia, si è rivelato immaturo, si è fatto abbindolare da Bel(sito)zebù, ma adesso vi restituirà tutto fino all’ultimo centesimo. E la cosa sarà chiusa». Anche perché un conto sono i soldi spesi per le notti brave del Trota, altra cosa sono quelli destinati alla scuola Bosina di Manuela Marrone o all’associazionismo padano, «e cioè per sostenere un progetto».
Così, in fondo vengono bene anche le epurazioni di Maroni, cui ieri i suoi a Varese hanno chiesto di «appendere in piazza sei teste»: Belsito, la Mauro, Reguzzoni, Renzo. Ma anche di Calderoli, accusato di fin troppa vicinanza al Cerchio magico. E di Giuseppe Leoni, reo di aver chiamato i militanti a fare da claque al Senatùr nel giorno del passo indietro. Nel frattempo Bossi è già al lavoro. Sono tre giorni che sta in via Bellerio. Ieri tanto per dire ha convocato Giorgetti, Calderoli, Castelli, Cota, Speroni, ma non la Dal Lago e Maroni. Segnali. Là dove un colonnello vicino a Calderoli s’è lasciato sfuggire un: «Roberto sta lavorando per far ripartire la Lega con Bossi». Con Bossi? «Ma sì, ma che pensi? Quello fa vertici ogni giorno, lavora più di prima, ha solo traslocato la sua leadership alla presidenza». Intanto, in quel di Monza subito dopo Pasqua scatterà la mobilitazione dei telegrammi: tanti, da far arrivare a Gemonio, con su scritto: «Bossi torna!».
E Maroni? Gioca una partita difficile. Da una parte deve accreditarsi come l’uomo delle pulizie, e soddisfare la sete di sangue della base. Dall’altra sa di dover cercare un equilibrio. Le epurazioni sono partite. Ieri fra i militanti di Bergamo convocati da Leoni girava un sms: «La segreteria provinciale ha deciso di buttar fuori quelli che erano in Bellerio!». E segretario a Bergamo è Cristian Invernizzi, maroniano. Minacce di venir presi a «scopate» sono arrivate pure a chi fosse intenzionato a contestare Maroni martedì, alla giornata dell’«orgoglio leghista», dove la base chiederà l’espulsione della Mauro. E Varese apre il caso Giorgetti. La mozione di sfiducia al segretario imposto dai cerchisti, Maurizio Canton, l’hanno presentata non al Direttivo provinciale, ma direttamente al segretario dei lumbard.
La guerra non sarà breve. Vista così, il congresso non è neppure necessario che si tenga in autunno. Il triumvirato potrebbe pure durare più a lungo. Un po’ come i governi tecnici.
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