Anche a Ferragosto il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito concede una precisazione - festiva nel caso di specie - annunciando querele contro il Giornale per aver riportato uno stralcio dell'ordinanza d'arresto del prefetto Francesco La Motta. Nel documento il gip di Roma riportava un passaggio di una nota del Ros relativo a due telefonate fatte dal prefetto e considerate dal giudice romano esemplari delle «aderenze» vantate dal prefetto stesso. La prima avrebbe come interlocutore un tale «Ferdinando Esposito», ed è il Ros - non certo noi - che ne ipotizza l'identificazione con il pm milanese figlio di Antonio. Al quale, in effetti, risulta - secondo le note a piede di pagina dell'ordinanza, che indicano data di nascita e indirizzo di residenza del pm - intestata l'utenza chiamata per prima dal prefetto La Motta. La seconda telefonata è diretta invece a un'utenza intestata all'amministrazione penitenziaria, dalla quale poi La Motta viene richiamato da un certo «Ferdinando» al quale il prefetto chiede un incontro con il padre.
La notizia, già trattata da tutti i quotidiani a giugno, quando il prefetto La Motta venne arrestato per l'ammanco di fondi dal Fec, era stata poi rilanciata il 14 agosto sul Sole24ore, e il Giornale l'ha ripresa raccontando solo quello che l'ordinanza riporta, specificando anche che il gip sottolineava la mancanza di elementi di riscontro per «ipotizzare» che il contatto cercato fosse andato a buon fine. Ma Esposito la definisce comunque «del tutto falsa», puntando l'indice solo contro il Giornale e Libero e citando una smentita della procura di Roma che a giugno, soltanto dopo l'arresto di La Motta e la notifica dell'ordinanza, aveva sostenuto che non fosse il pm Ferdinando Esposito l'interlocutore del prefetto, e che dunque il «padre» con cui La Motta voleva incontrarsi non era Antonio Esposito. Resta l'identificazione del titolare dell'utenza del primo interlocutore nel pm Ferdinando, figlio di Antonio Esposito, che, ribadiamo, non è stata fatta dal Giornale ma dagli uomini del Ros.
Ma gli annunci di querela quotidiani all'alto magistrato non bastano. Come confermato dal vicepresidente del Csm Michele Vietti, Esposito avrebbe presentato al Consiglio superiore della magistratura una richiesta di apertura di una «pratica a tutela». Un istituto che il Csm si è autoattribuito, poiché la Costituzione tra i compiti dell'organo di autogoverno della magistratura non prevede questo tipo di pratica. La scelta di chiederla, da parte di Esposito, è probabilmente strategica, per «controbilanciare» la propria posizione in seno al Consiglio superiore. Dove, come è noto, c'è un esposto pendente contro Esposito firmato da tre componenti laici del Csm - Filiberto Palumbo, Bartolomeo Romano e Nicolò Zanon - per l'intervista al Mattino in cui il giudice «anticipava le motivazioni della sentenza».
Il primo esame dell'esposto è già stato calendarizzato, ed è all'ordine del giorno della prima commissione per la seduta del 5 settembre prossimo. La «pratica a tutela», dunque, potrebbe creare una situazione di stallo, con due pratiche «uguali e contrarie» che di fatto fanno del Csm la sede sia per valutare l'eventuale punizione che per vagliare la tutela dalla asserita campagna stampa denigratoria dell'alto magistrato.
E non è escluso che la richiesta di difesa di Antonio Esposito - autopresentata e, al momento, non ancora calendarizzata - non trovi nel frattempo una sponda, con l'appoggio da parte di qualche consigliere del Consiglio superiore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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