Essere di malumore? Ha un sacco di vantaggi

Il malinconico ha più memoria e capacità di giudizio si accorge di chi mente e sa essere diplomatico

E un giorno scopri che la luna di traverso è quella che illumina davvero. La ribalta dei musoni, il riscatto degli intrattabili: la scoperta dello scienziato americano Jonathan Rotteberg. Il giovane psicologo ha pubblicato un sovversivo studio nel suo ultimo libro, The Depths, The Evolutionary Origins of Depression (Gli abissi, le origini evolutive della depressione). Per dimostrare che le persone mediamente infelici, o comunque con uno stato d'animo malinconico, sono più ricettive, e capaci di analisi più puntuali e profonde degli altri, lo scienziato ha cercato di incupire un gruppo persone proiettando un breve filmato ad hoc. Immagini ad alto tasso di tristezza. Il risultato non ha lasciato dubbi: i «malinconici» avevano molta più memoria, perspicacia, capacità di giudizio, e molta più allerta verso chi mentiva. Infine, quel filo di tristezza li rendeva più capaci di mediare, di essere diplomatici nelle situazioni giuste. Una tacca di buonumore in meno è una sferzata di autocoscienza in più; o forse, la soglia dell'autostima non troppa alta, semplicemente, illumina in noi il buono e il cattivo degli altri. Squarcia quel piccolo spiraglio di curiosità e di lucida valutazione delle cose che, troppo concentrati e deliziati da noi stessi, non avremmo.

«La tristezza rende le persone più attente, scettiche e consapevoli del modo in cui elaborano le cose» ha spiegato Rottenberg. La scoperta dell'acqua calda, commenteranno in molti. Gli stessi che bandirebbero gli antidepressivi perché, con la serotonina a livelli normali, non avremmo mai avuto i capolavori di Leopardi. Ma non è così scontato che il malessere, quel pizzico di dolore che sveglia l'organismo, espanda la nostra capacità di sentire. Tutt'altro. Molti di noi sono stati educati a pensare che il sorriso sia la chiave dei vincenti, e che, quanto più ispirato fosse il marchio della felicità, tanto più alto sarebbe stato il profitto sul lavoro e nelle relazioni. Nella malinconia, invece, fermenta anche la produttività. Tanto per cominciare, «capire perché ci sono capitate delle cose spiacevoli, ci aiuta e evitarne di simili in futuro», prosegue lo psicologo: ma con gli ormoni della gioia in ottimo stato, interrogarci sul passato non è il nostro passatempo. Crogiolarsi nelle piccole ferite, piuttosto, aiuta a indagarne le origini a lungo termine. Magari per tornare a un sorriso più vivace quando il break delle paturnie sarà esaurito.

Secondo il complesso studio di Jonathan Rottenberg, la depressione ci ha aiutati, nel senso darwiniano del termine: ha favorito il nostro adattamento ai cambiamenti della società. Un paradosso? Certamente. Ma anche una soluzione logica: lottare per raggiungere degli obiettivi, agognarli, desiderarli e struggersi per loro, ci ha resi molto più forti. Lo squilibrio biochimico alla base delle depressioni sarebbe, secondo Rottenberg, anche un toccasana per il nostro rendimento. I nostri alti e bassi ci hanno consentito di camminare su una fune sottile per secoli e mantenerci saldi, ondeggiando sempre, ma mai crollando davvero. È così che la nostra specie si è riprodotta e ha tagliato traguardi sempre più raffinati; fino a perseguire un tale livello di benessere, che le depressioni del mondo contemporaneo sono superiori (e di più lunga durata) rispetto al passato. Perché? Perché il cattivo umore che, secondo Rottenberg, salvava le giornate dei «guerrieri per la sopravvivenza», degenera in grave depressione nel mondo di oggi, dove gli obiettivi si sono centuplicati. E noi stessi li perdiamo di vista.

Ma, in dosi contenute, avere un cattivo umore, una sana ondata di delusione e di cupezza, favorisce la comprensione delle cose. «Accettare la negatività, anziché cercare di demolirla, ci aiuterà», spiega lo scienziato nei suoi Abissi. È naturale che la stampa americana si diverta a presentare così il libro: «Ecco perché la depressione non avrà mai cure».

Conoscere e tendere una mano al Nemico, insomma, e guardarlo in prospettiva. Ma soprattutto, da oggi in poi, mai dire che «oggi butta male, non è giornata» se non gradiamo impegni. In molti sapranno che è il momento migliore per insistere.

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