Il futuro un attimo prima, la verità del lusso e l'estetica del nuovo. Difficile pensare ad altro durante la sfilata Fendi inarrivabile sotto tutti i punti di vista. Sulla passerella più lunga della città (82 metri nel cuore dell'ex Fondazione Pomodoro, da ieri nuova sede milanese della maison romana) sfilano 50 cibernetiche bellezze con la parrucca nera, gli occhiali da gatta e innumerevoli fogli di organza tecnica che diventano abiti, bluse, tailleur e perfino pellicce: le più sorprendenti e leggere che si possano immaginare. «Pesano pochi grammi» spiega Silvia Venturini Fendi facendoci toccare con mano il visone rasato, tinto, decostruito con grafico furore e rimontato su quel tessuto liquido e trasparente che per sua natura ha un sapore futuribile. C'è infatti il tutu blu come un microchip, l'abito a bustier rosso come la luce che nei computer segna la batteria in esaurimento e il lungo soprabito a geometriche piastrelle di pelo bianco come la luce dello schermo appena acceso. Eppure non puoi fare a meno di pensare che Fendi è l'unica maison al mondo con un atelier di alta pellicceria in cui lavorano 50 persone, un orgoglio tutto italiano.
Si torna al futuro anche con la deliziosa collezione di Andrea Incontri dedicata a un territorio sportivo che coincide con l'architettura: il canone del corpo di una tuffatrice per evocare nell'abito Palladio, Leon Battista Alberti, Vitruvio e secondo noi anche il gioco prospettico dello stadio dei marmi di Roma. L'apoteosi della modernità arriva comunque con Ballantyne, disegnata da Roberto Menichetti con l'abituale genialità nell'assemblaggio di rottura tra forme e materiali per cui il kilt in realtà è un calzoncino, mentre la giacca ha il cashmere sulla schiena, il tessuto delle T-shirt tecniche davanti e il classico motivo a rombi dell'Argyl intagliato dappertutto ton sur ton. La sfilata Max Mara ci sembra invece elegantemente noiosa pur piacendoci moltissimo l'idea del nuovo minimalismo in salsa borghese.
Estate in pelliccia nel visone rasato
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