Esistono nel linguaggio politico parole che hanno stufato. Dei termini che abbiamo ereditato dall'agonia della seconda Repubblica o abbiamo trovato freschi freschi nella quasi-terza. Ma di cui faremmo volentieri a meno, il prima possibile. Qui di seguito un elenco dei più insopportabili. Se ci fate caso, tanto al loro utilizzo quanto alla frequenza con cui vengono utilizzati, comincerete anche voi a odiarli dolcemente. A forza di evocare la crisi abbiamo trasformato l'Italia in un posto di depressi. Il Belpaese è diventato una landa di musoni incarogniti e rancorosi, o sole e o mare hanno lasciato il posto a nebbia e brume, rendendo a confronto persino più ridanciane e soddisfatte alcune nazioni nordeuropee che a viverci, manco morti. E comunque sia, la sensazione è quella di un meccanismo autoconsolatorio: non ce la facciamo perché c'è la crisi. Gli ottimisti, o gli speranzosi, vengono presi per matti, come lo zio rincoglionito a cui non bisogna raccontare la verità. E a forza di fasciarci la testa, davvero ce la siamo rotta. Ma a chi serviva?
Europeismo
Siamo passati da essere, quasi inavvertitamente e forse per sfiducia nella classe politica italiana, il posto più europeista d'Europa, a gettare a gran velocità nei bassifondi di gradimento Bruxelles, Strasburgo e tutto quello che circonda istituzioni tra le più impenetrabili (avete mai letto un'inchiesta cazzuta sugli stipendi degli euroburocrati, tanto per dire?). Ma raccontiamocela tutta: l'Europa veniva apprezzata perché lontana, e perché poco si conosceva di questa costruzione politica che, adesso, sta rivelando tutte le sue falle e le sue pecche ideologiche. Adesso l'europeismo è fuori moda, è roba da circoli ventoteniani, e per spopolare populisticamente basta parlarne male. Togliamo l'-ismo e ripensiamo l'Europa, non è meglio?
Giovani
L'Italia è un Paese per vecchi, senza dubbio. Ma la retorica giovanilistica è altrettanto insopportabile del conservatorismo delle vecchie congreghe. I giovani, oggi, diventano una foglia di fico, è sufficiente piazzarne qualcuno in istituzioni un poco incartapecorite per rivilitalizzarle, e dargli una veloce rispolverata con un bel soprammobile anagraficamente appetitoso. Ma la seconda Repubblica, purtroppo, ci ha già insegnato che i giovani, o i ggiovani che vanno tanto di moda a sinistra (anzi, c'andavano), vanno anche loro misurati sul terreno del talento, della qualità, del merito. Sennò ti trovi a che fare con capre, e per di più inesperte. Quando elimineremo l'appello a una «politica che apra ai giovani», per miracolo assisteremo a una vera rivoluzione della classe dirigente.
Moderati
Vi scongiuro, vi scongiuriamo, basta. La parola «moderati» è una specie di sfigatissimo mantra che ci portiamo appresso da vent'anni. Si beve con moderazione, si fa sesso con moderazione, ma non si può fare politica con moderazione perché il moderatismo non è una categoria politica. Tutt'al più può essere una categoria estetica per designare i resti democristiani che ancora galleggiano nei partiti. Parli di moderatismo e vengono subito in mente cerchiobottismo, inciuci, cambiacasacca. Eccetera. Ma politicamente, invece, che vuol dire? Prendere le decisioni a metà? Andarci piano? Oppure mettere in piedi partiti buoni per tutte le stagioni? È tutto il contrario, il moderatismo, della sobrietà, che è ciò che serve davvero alla politica italiana per ammodernarsi e togliersi di dosso un po' di forfora da indigestione di soldi e poltrone.
Paese
«Paese» sarebbe la versione italiana dell'anglosassone country. Right or wrong, in italiano il termine funziona malissimo. Ridurre la propria patria a un «paese», seppur con la maiuscola «Il Paese ha bisogno...», «la situazione del Paese...» - è un'umiliazione ulteriore di cui l'Italia non ha bisogno. Ovviamente in questo caso c'è il solito pregiudizio ideologico: parlando di «Paese» non potranno accusarti di essere nazionalista, perché dire «Paese» vuol dire adottare un approccio lessicale morbido, felpato, innocuo, come se parlando dell'Italia stessi discorrendo di tannini. E invece no, porca miseria, visto che le ideologie sono scongelate e il patriottismo non è più un pericoloso rigurgito fascista, potremmo imporre e imporci di ricominciare a utilizzare la parola «nazione», anche con la minuscola?
Riformismo
Qui in Italia siamo tutti riformisti senza riforme. Ma certamente siamo tutti riformisti. Di sinistra, di centro, di destra. E uno accusa l'altro di non essere riformista. Nessuno invece, o quasi, ha il coraggio di definirsi conservatore quando invece sarebbe meglio perché, diceva van der Bruck, il conservatore è colui che costruisce cose che valgono la pena di essere conservate. Invece fino a oggi il riformismo ha costruito chiacchiere, tutto fuorché le riforme vere, quelle di cui ha bisogno il Paese...pardon, la Nazione, perché il riformismo italiano è sempre colpaltrista, ovvero mette in campo progetti, non li realizza e dà la colpa ad altri i sindacati, il ventre molle italiano, le burocrazie, i conservatori che non hanno dato modo alle splendide e magnifiche sorti del riformismo di prosperare. Dunque, anche qui, meno ismi e riforme vere, please.
Responsabilità
È l'altro volto terminologico del moderatismo. Ci mancherebbe che nella vita non si debba essere responsabili, ma in politica, e in special modo nella politica italiana, il termine «responsabili» viene usato da un po' di tempo per designare una particolare categoria di voltagabbana, magari quelli che tradiscono i propri elettori e il proprio partito «per senso di responsabilità verso il Paese» (in questo caso non correggiamo perché parlare di nazione sarebbe una bestemmia). Talché verrebbe da dire, dopo tutta questa orgia di responsabilità che neppure la signorina Rottermeier, evviva gli irresponsabili, i pazzi e i visionari. Che non saranno responsabili, ma almeno fanno sognare, o potrebbero far sognare un popolo catabolizzato da crisi, sfighe multiple, depressione diffusa.
Rottamare
Uno slogan che ha fatto macerie. Altre macerie, siccome già non ce n'erano abbastanza. È un termine piuttosto violento che, in epoca renziana, è stato copiato o rimodulato a uso e consumo di tutti coloro che si vogliono presentare come outsider e, non volendo fare proprio i grillini, adottano la metafora della rottamazione per dire «fate largo che passiamo noi». La rottamazione è la versione contemporanea di un vecchio termine, ora desueto, che era quello di nuovismo. Quello faceva ridere, questo un poco spaventa pure persone come il sottoscritto che amano una versione muscolare e conflittuale della politica. Perché chi rottama non fa conflitto, lo elimina, lo estirpa con i bulldozer. E non ci piace, questa cosa, che sa un poco di scugnizzeria.
Smart
Non c'entra la macchinetta ma un aggettivo che oggi designa tutto ciò a cui si vuole affibiare una patente trendy e cool (ci scusiamo per il doppio anglicismo, ma è fatto apposta). Dunque, abbiamo la politica smart che, nell'ordine, significa: 1) esteticamente, niente giacca e maniche rialzate; 2) in giro in bicicletta o auto ecologiche; 3) provvedimenti annunciati in Power Point; 4) abbandono retorico del formalismo e del cerimonialismo; 5) poche cose, di impatto mediatico, e poi tanto piacere se non funzionano; 6) politica dell'annuncio. Continuate voi, che tanto avete capito.
Svolta
Andate su un motore qualsiasi ricerca e digitate «svolta politica italiana». Rimanendo agli ultimi anni, siamo nell'ordine dei milioni di dichiarazioni che segnalano «svolte» ovunque, dalla sanità alle carceri, dalle multe dei vigili urbani alle tasse sulla casa.
Ordunque, «svolta» dovrebbe avere, nel caso di specie, un significato positivo e performante. E invece, spesso, si tratta di solenni fregature dove svoltano davvero in pochi. Oppure svoltiamo tutti, e finiamo contro un muro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.