"Gli ex di Fi sbagliano: la scissione va evitata"

Il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto: "I flashback in politica portano solo al fallimento. Le sigle stile Forza Italia non siano la regola"

"Gli ex di Fi sbagliano:  la scissione va evitata"

Roma - Onorevole Cicchitto, a due anni esatti dalla fondazione, che momento vive il Pdl?
«Un momento difficile conseguentemente all’uscita di scena del governo Berlusconi. Un passaggio determinato dal bombardamento giudiziario abbattutosi su Silvio Berlusconi e dalla crisi finanziaria esplosa nel 2008. Senza dimenticare l’impossibilità del nostro governo di fornire alcune risposte alla crisi tra il luglio e l’ottobre 2011, riconducibile soprattutto al no della Lega alla riforma delle pensioni».

Oggi il Pdl sembra chiamato a fare fronte al combinato disposto di due nostalgie - quella degli ex Fi e degli ex An - e alle ferite post-congressuali.

«Per la costruzione del Pdl i congressi erano e sono necessari. Forza Italia è nata da un leader carismatico e dal movimentismo nel fuoco di uno scontro politico durissimo. Un partito, però, per vivere nel tempo deve consolidare la vita democratica interna e anche il suo radicamento nel territorio».

Ma queste forme di ripiegamento le trova giustificabili?

«Guardi, io rispetto tutte le operazioni nostalgia. Qui però non siamo al cinema, i flashback in politica producono soltanto fallimenti. Bisogna guardare avanti. E legare ciò che è tuttora in campo del carisma di Berlusconi alla costruzione di un vero e forte partito».

C’è qualcosa che rimpiange di Forza Italia?

«Sicuramente la magia di quel momento, la forza trainante di Berlusconi, la capacità di dare voce a culture, quella liberal-democratica, quella socialista riformista e quella cattolica-eterodossa, che non avevano mai avuto forza egemonica. Si è dato un grande ruolo a personaggi come Don Gianni Baget Bozzo, Lucio Colletti, Piero Melograni. Di certo, però di quel periodo non ho alcuna nostalgia di alcuni luogotenenti locali che governavano i livelli regionali e locali del partito in maniera del tutto autoritaria vivendo della luce riflessa di Berlusconi».

C’è chi evoca con nostalgia l’idea di un partito liberale di massa e ne lamenta la «contaminazione» socialista e Dc.

«Il Pli ha una storia molto seria. Ma raggiunse al massimo il 7,5% quando Malagodi si schierò contro il centrosinistra per poi galleggiare sempre tra il 2 e il 3%. Forza Italia è stata una espressione sintetica di varie culture ma senza i voti Dc e il recupero di una parte dell’elettorato socialista e l’impegno in campo di persone che non avevano mai fatto politica mai Forza Italia avrebbe raggiunto quei livelli».

Ma queste diverse anime politiche parteciparono alla creazione di Forza Italia?

«Sicuramente vi partecipò Cielle così parte dell’elettorato socialista. Successivamente Brunetta, Sacconi, il sottoscritto ed altri fummo l’epifenomeno dello spostamento di un elettorato. Oggi viviamo crisi culturali di fondo. Infatti, se da anni è entrata in crisi la socialdemocrazia che ha prodotto dirigismo e statalismo, è altrettanto vero che anche il liberismo senza regole ha generato la finanziarizzazione selvaggia e il fallimento di un certo modello con cui oggi stiamo facendo i conti».

Il Pdl è maturo per confrontarsi con vittorie e sconfitte congressuali?

«Bisogna acquisire l’abitudine a stare in maggioranza o in minoranza senza rotture. Anche quando si vince bisogna ascoltare l’opposizione e non creare le condizioni per una scissione».

Le tessere logorano chi non le ha oppure davvero il Pdl rischia di impantanarsi?

«Se da una parte non è più immaginabile il partito come comitato elettorale fondato solo sul carisma di Berlusconi, dall’altra bisogna restare aperti a ciò che si muove nella società. L’organizzazione di partito va bilanciata con la capacità di dialogare e misurarsi con le forze sociali».

Ma come si governa il proliferare di piccole liste?

«Un conto è la rivendicazione di una dimensione culturale ma la frantumazione non porta da nessuna parte. Si può ammettere qualche lista civica ma non può diventare la regola. Su questo punto forse qualcuno dovrebbe chiarirsi le idee».



La stagione Monti quale effetto produrrà sulle forze politiche?

«Nel 2013 Monti può riconsegnare a partiti rivitalizzati lo scettro del principe, oppure puntare a trasformare la sua esperienza in una sorta di nuovo soggetto politico. Si tratta di una scommessa del tutto aperta».

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