Fango su Clini: intercettato sull’Ilva, anzi no

Un consulente dell’azienda nel 2010: "È uomo nostro". Il ministro s’infuria, la Procura smentisce

Fango su Clini: intercettato sull’Ilva, anzi no

«Clini è uomo nostro». Lo dice al telefono Girolamo Archinà in una conversazione del 2010 inter­cettata. Archinà è all’epoca consu­lente dell’Ilva, Corrado Clini diret­tore generale del ministero del­l’Ambiente. E in ballo, c’è la con­cessione dell’ «Aia», l’Autorizza­zione ambientale integrata. Apriti cielo.Neanche il tempo di dubita­re della buona fede dell’attuale mi­nistro dell’Ambiente che si scate­na un putiferio. L’Ilva,la Procura e Clini stesso, scendono in campo armati di scure e nel giro di un po­meriggio il caso sembra evapora­re.
L’azienda liquida immediata­mente Archinà: licenziato.Il presi­dente dell’Ilva, l’ex prefetto Bruno Ferrante, in una nota afferma che «da oggi è interrotto ogni rapporto di lavoro con il signor Girolamo Ar­chinà che pertanto in alcun modo e in nessuna sede può rappresen­tare la società stessa». L’ormai ex
consulente non la prende benissi­mo e sibila: «Io ho sempre sostenu­to che bisogna pagare la stampa per tagliargli la lingua», cioè paga­re la stampa per non scrivere.
Il ministero dell’Ambiente non usa toni più morbidi. In una nota ufficiale afferma che il deposito di una eventuale intercettazione «co­stituisce una grave violazione del­la deontologia processuale sforni­ta di qualsiasi supporto probato­rio », specifica che Clini «non si è mai occupato in nessun modo» di «Aia» per quanto riguarda l’Ilva e attacca chiedendosi il perché di questo caso «nel momento in cui il ministro Clini è impegnato a no­me del governo a ricercare soluzio­ni positive per il risanamento am­bientale di Ilva, la continuazione
produttiva dello stabilimento e la salvaguardia dell’occupazione». Come dire basta fango sul mini­stro, serve senso di responsabilità da parte di tutti. Non senza però «segnalare la situazione al presi­dente della Repubblica ed al mini­stro della Giustizia».
E dopo il comunicato di fuoco targato Clini, interviene in scivola­ta anche la procura di Taranto, nel­la persona del procuratore capo Franco Sebastio che afferma: «Il nome del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, non compare né di­rettamente né indirettamente in alcuna intercettazione depositata dalla Procura di Taranto nel­l’udienza del Riesame». Clini rin­grazia il magistrato per la precisa­zione, ma il caso rimane aperto. Perché
la Gazzetta del Mezzogior­no , che aveva pubblicato l’intercet­tazione, ne conferma l’esistenza pur specificando di averla resa pubblica «senza per questo avan­zare alcun sospetto sull’attuale mi­nistro ».Ma se l’intercettazione esi­ste ma non fosse agli atti della Pro­cura?
Vorrebbe dire alimentare il sospetto che queste frasi siano contenute in atti non ancora depo­sitati e giunti in possesso della stampa non si bene come. Tanto che il presidente dei giornalisti del­la Puglia, Paola Laforgia, ha chie­sto gli atti alla Procura.
In ogni caso, la vicenda Clini-Il­va- Procura non fa altro che porta­re ulteriore caos in un momento cruciale per l’Ilva di Taranto e cioè per tutta la siderurgia italiana e le migliaia di posti di lavoro che vi ballano sopra. Ieri si è conclusa l’udienza al tribunale del Riesame sul ricorso contro il sequestro del ciclo a caldo dell’impianto dispo­sto lo­scorso 26 luglio che ha porta­to 8 tra dirigenti ed ex manager agli
arresti domiciliari, tra cui il patron Emilio Riva e il figlio Nicola. Mer­coledì o al più tardi giovedì, si sa­prà quale sarà la decisione del Rie­same. Una scelta difficile ed estre­mamente delicata, tanto che lo stesso Sebastio in una pausa del­l’udienza ha confessato: «Non ci dormo la notte al pensiero che 20mila persone possano perdere il posto di lavoro».

Intanto 41 per­sone sono state identificate e de­nunciate dalla Digos per i disordi­ni durante la manifestazione di giovedì scorso, quando i sindacati furono interrotti dai lavoratori.

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