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Le fanno pagare le critiche alle toghe

Ciò che impressiona del caso Ligresti è come si tenti di far secco un altro ministro della Giustizia

Le fanno pagare le critiche alle toghe

Troppa amicizia di Anna Maria Cancellieri per i Ligresti? Boh. Quello che impressiona di più è come si tenti di far secco un altro ministro della Giustizia. Ragionando su venti anni si constata che mentre con gli esecutivi di centrodestra si lavora per colpire il leader cioè Silvio Berlusconi, con governi diversi, invece, il noto lavorìo punta a delegittimare i Guardasigilli «non fedeli». Così Filippo Mancuso nel '95 perché inviava ispezioni a Milano, così Clemente Mastella nel 2007 perché appariva troppo indipendente, così la Cancellieri imprudente critica del tribunale che vuole interrogare Giorgio Napolitano sui rapporti di lavoro con il suo (deceduto) consulente giuridico: cosa che appare ai limiti della Costituzione. In questo senso, poi, la «chiamata a testimoniare» di Napolitano pare inserirsi (magari casualmente) in una serie di avvisi che arrivano al Quirinale: oltre alla «irrituale testimonianza» e alle intercettazioni della Cancellieri vanno rilevate le indagini su concorsi universitari di cinque costituzionalisti tra i saggi scelti da Napolitano e Gaetano Quagliariello, con inoltre successiva censura del Csm a due eminenti professori come Valerio Onida ed Enzo Cheli che sul Corriere della Sera raccomandavano prudenza ai pm nel prendere iniziative su studiosi incaricati tra l'altro di proporre riforme della giustizia. Impressionante è anche «la giornata» della diffusione dell'intercettazione al ministro della Giustizia: arriva la notizia, Napolitano dichiara che pur non avendo niente da dire si farà sentire dal tribunale di Palermo, Gian Carlo Caselli assolve la Cancellieri. Al di là della legittimità formale dei singoli atti che non contesto, la logica oggettiva, fosse pure casuale, spaventa chi crede nella centralità delle istituzioni democratiche come unico baluardo per una sovranità nazionale indispensabile in un mondo così disordinato. In una situazione così drammatica, è bene osservare come le soluzioni non possano venire dall'alto. Non si possono scordare i moniti di Oscar Luigi Scalfaro e Claudio Martelli a non cedere alle provocazioni, a evitare il rischio delle speculazioni finanziarie, a fidarsi delle guide illuminate (oggi peraltro assai deboli e pavide) che allora restituivano l'onore al socialismo oggi al berlusconismo. Sono passati ventuno anni da quei moniti: è facile valutarne la saggezza. Certamente la via da scegliere è anche quella del dialogo con chi si dimostra disponibile a riformare la giustizia (e dunque certamente con Enrico Letta ma anche con Matteo Renzi e Romano Prodi quando fanno aperture) ma questo dialogo, proprio per le insidiose iniziative di potenze interne e straniere in grande movimento, deve essere fondato su una saldezza e autonomia delle forze non disponibili a cedere sul piano della sovranità popolare e nazionale.

Solo così si potrà tentare una riforma della giustizia base per una più ampia riforma dello Stato: riforma di cui, peraltro, non si vede traccia nel programma e nell'azione del governo Letta.

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