RomaDa leader dell'Ulivo e da presidente del Consiglio, Romano Prodi, spesso la retromarcia l'aveva ingranata perché costretto dagli alleati. È il caso delle primarie che lo incoronarono candidato del centrosinistra nel 2005; le accettò obtorto collo e ne avrebbe fatto volentieri a meno. Mai però, il Professore era tornato indietro sui propri convincimenti personali. E invece ieri, dopo aver annunciato urbi et orbi, che domenica avrebbe disertato i gazebo («Ho deciso di ritirarmi dalla vita politica», aveva detto a inizio novembre), ha fatto improvvisamente dietrofront. «Domenica, di ritorno dall'estero, mi recherò a votare alle primarie del Pd», ha proclamato sostenendo che «in questa così drammatica situazione mi farebbe effetto non mettermi in coda con tanti altri cittadini desiderosi di cambiamento». Ma poi la situazione è veramente così drammatica per indurlo a un così repentino rivolgimento? «I rischi aperti dalla recente sentenza della Corte - ha spiegato - mi obbligano a ripensare a decisioni prese in precedenza». L'arcano è così svelato: il pronunciamento della Consulta rimette in moto troppi meccanismi per rinunciare alla politica e fare il Cincinnato. La «riserva della Repubblica numero uno» potrebbe rimettersi in gioco prima di quanto si pensi. Con un Parlamento praticamente delegittimato e con un presidente della Repubblica, che di tutto l'attuale sistema «incostituzionale» è l'architrave e quindi oggi è meno saldo, per Prodi - in caso di elezioni - potrebbero riaprirsi nuovamente le porte del Quirinale. Si compirebbe in questo modo la «vendetta» contro il suo arcinemico che non è Silvio Berlusconi, ma Massimo D'Alema ritenuto la mano che ha armato i 101. Ma per dare corpo a questo progetto occorre rimettersi in gioco. E quale migliore giustificazione per la retromarcia c'è della difesa del maggioritario? Il rischio fallimento delle primarie per scarsa partecipazione lo avrebbe inoltre chiamato in causa. È stato sufficiente rispondere alle sollecitazioni e alle preghiere dei parlamentari prodiani e, soprattutto, renziani che nelle ultime settimane lo avevano supplicato di non lasciarli soli. «È necessario difendere a ogni costo il bipolarismo», ha aggiunto. In coda una stoccata agli «amici e compagni» del partito. «Pur con tutti i suoi limiti, il Pd resta l'unico strumento della democrazia partecipata di cui tanto abbiamo bisogno», ha concluso lanciando di fatto uno spot per l'afflusso massiccio ai gazebo. Nelle sue dichiarazioni c'è un'altra contraddizione rispetto all'«autoesilio» che si era imposto: non vi è infatti alcuna dichiarazione di voto. Si sa, però, chi di sicuro non riceverà la sua preferenza tra i candidati: Gianni Cuperlo, il «figicciotto» sponsorizzato dal lider Massimo. I prodiani, però, sono tutti schierati con Renzi e proprio ieri Vittorio Prodi, fratello dell'ex premier, ha reso pubblico l'endorsement per il sindaco di Firenze. L'unica «non allineata» è la ex portavoce Sandra Zampa che sostiene Pippo Civati. E il «pierino» della Brianza, che quotidianamente si scaglia contro «i 101 traditori», ha esultato per la decisione del Professore. Misuratamente «contenti» pure gli altri due contendenti.
Un'ulteriore conseguenza della presa di posizione è che Prodi non ha abboccato alle ricostruzioni (veicolate anche dal pamphlet Giorni bugiardi dei due portavoce bersaniani Di Traglia e Geloni) secondo cui i renziani sarebbero stati parte integrante dei 101. Il sindaco è riuscito a convincerlo di essersi speso per la sua candidatura al Colle. E chissà. Forse gli ha fatto un'altra promessa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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