Il nostro titolo di oggi è una esortazione rivolta a chiunque abbia qualche responsabilità nella gestione della cosa pubblica. Esortazione identica a quella che Il Sole 24Ore , il10novembre dello scorso anno, sintetizzò proprio così in prima pagina: «Fate presto». Il quotidiano confindustriale, considerata la drammatica realtà del momento (spread in volo verticale e Borse giù a picco), auspicava che la politica si desse una mossa in modo che l’Italia reagisse con vigore all’acuirsi della crisi.
Silvio Berlusconi era a Palazzo Chigi e il suo governo, già vacillante, subì uno scossone dai cui effetti non si riprese. Due giorni appresso, l’allora premier si recò al Quirinale e si dimise senza essere stato sfiduciato dal Parlamento. La situazione italiana di oggi è speculare a quella dell’autunno 2011. A otto mesi e più dall’insediamento, i tecnici guidati da Mario Monti si trovano ad affrontare il medesimo tipo di emergenza che costrinse il Cavaliere (e il centrodestra) alla resa. Lo dimostrano i dati ufficiali: il debito pubblico è salito al 123 per cento del Pil, lo spread ha superato quota 520, Piazza Affari ha registrato ieri un altro crollo dopo quello di venerdì, la disoccupazione è cresciuta vistosamente e le tasse sono in vetta alla classifica mondiale.
Una situazione peggiore non potrebbe esserci, benché al peggio non vi sia fondo. Chissà perché stavolta, tuttavia, Il Sole 24Ore , non lancia allarmi, non incita i partiti e le istituzioni a fare presto. Perché? Forse gli industriali si sono accorti - con deplorevole ritardo- che la madre di ogni problema è l’Europa, che non funziona, né potrebbe funzionare, per i noti motivi: la Bce è una banca centrale, però non è in grado di agire autonomamente a causa di mille vincoli, non esiste a Bruxelles una leadership politica, l’euro non è rappresentativo dei Paesi della Ue, ciascuno dei quali ha una propria storia, una propria cultura, una propria economia. In sostanza, la moneta è sì unica, ma le nazioni sono tante e tutte diverse tra loro.
Inoltre, i trattati costitutivi dell’Unione sono rigidi e inidonei; andavano bene dieci anni fa, ma ora sono superati e non concedono margini di manovra onde uscire dall’impasse.
L’Europa, invece di essere una risorsa, è un peso che soltanto la Germania, autentica potenza, è attrezzata a sopportare. Angela Merkel ne è consapevole ed esercita con durezza la propria egemonia. Risultato. I Paesi più deboli, tra cui il nostro, sono esposti alle spericolate incursioni di speculatori internazionali. E allora? Visto che, nonostante ciò, il quotidiano degli industriali, contrariamente a quanto fece in novembre, non fiata, gridiamo noi: «Fate presto».
Non c’è tempo da perdere indiscussioni accademiche. D’altronde, rimanere fermi a osservare la catastrofe, senza prendere alcuna contromisura, non aiuta a limitare i danni. Occorre fare qualcosa, subito, prima che la frana ci travolga. Cosa? Valutare se questo governo, alla luce dei risultati, sia ancora all’altezza dei suoi compiti. Decidere se restare ancorati o no al carro europeo o all’euro; se sollecitare o no un aggiornamento dei trattati che vincolano i Paesi membri dell’Ue.Decidere se convenga aspettare la scadenza naturale della legislatura oppure anticipare le elezioni politiche al prossimo autunno.
Studiare, eventualmente, quale formula di governo sia opportuna, stante le difficoltà dei partiti: una grande coalizione pronta a sostenere un esecutivo con un mandato preciso e adatto alle circostanze, ancora con Monti premier o con un personaggio dalle stesse caratteristiche?
In altri termini, è urgente dire agli italiani la verità, e cioè che qui è questione di vita o di morte della nostra economia, e offrire loro un piano di battaglia, da condividere tutti insieme, per vincere la guerra contro la crisi, la più minacciosa da sempre. Un accordo serio tra le forze politiche, una sospensione delle polemiche sterili all’interno del Palazzo e fuori: basta con le discussioni dispersive, e lavorare a testa bassa come è indispensabile quando incombe un grave pericolo.
Non è più stagione di chiacchiere su problematiche marginali.
Infine, la legge elettorale: sia che si voti dopo l’estate o l’anno venturo, serve provvedere a modificarla.
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