Febbre da cavallo addio Così sta morendo l'ippica

Le scommesse sono diminuite di oltre il 30 per cento, sono ben 50mila i lavoratori che rischiano il posto. E le puntate si spostano all'estero

Febbre da cavallo addio Così sta morendo l'ippica

«L'ippica italiana è un settore in crisi, che potrebbe anche chiudere presto i battenti. Il numero dei posti di lavoro a rischio è destinato a lievitare fatalmente». Le parole pronunciate ad inizio dicembre da Massimo Passamonti, presidente di Confindustria SGI (Sistema Gioco Italia), tuonano in un settore ai limiti della disperazione. Definire i dati allarmanti è un eufemismo. Negli ultimi quattro anni in Italia sono diminuiti del 25% i cavalli, del 14% i fantini, è calato di 72 milioni di euro all'anno il montepremi delle corse ippiche, di un milione di euro la quantità di denaro scommesso. Le statistiche di fine 2012 sono tutte negative. Si parla di 50 mila lavoratori a rischio licenziamento a causa della chiusura entro fine 2013 di circa 40 ippodromi. Il movimento di gioco raccolto, che ha sempre rappresentato l'entrata principale per il sistema ippico italiano, a dicembre ha fatto registrare un rallentamento del 24,25%. Il gioco al Totalizzatore Ippico ha fatto segnare un calo percentuale del 31,40% (a poco meno di 27 milioni) evidenziando una forte difficoltà in tutte le tipologie di scommessa.

«La diminuzione delle giocate - ci spiega Giovanni Fava, responsabile ufficio stampa di Snai - ha avuto come prima conseguenza un calo delle entrate per i concessionari di Stato e per l'erario. Contestualmente, è stato progressivamente ridotto il montepremi complessivo dei premi al traguardo: è la raccolta scommesse, infatti, la componente principale del montepremi e che ne determina l'ammontare per l'anno successivo». Tradotto in soldoni: è tutto collegato, come un ancora troppo pesante che rischia di trascinare a fondo tutta la nave. Basti pensare che i premi al traguardo costituiscono la vera fonte di guadagno per i proprietari e che, quindi, la diminuzione del montepremi, oltre a provocare significativi tagli ai redditi dei proprietari e di conseguenza dei fantini, driver e del personale addetto ai cavalli, ha reso meno interessanti le corse italiane, perché i premi in palio sono meno ricchi e allettanti di quelli proposti all'estero. Ed è facile intuire come questa crisi profonda renda l'Italia poco «attraente» a livello internazionale. «Sono sempre meno i cavalli stranieri che partecipano alle corse italiane - osserva lo stesso Giovanni Fava - e questo ha sensibilmente diminuito il livello di spettacolarità delle corse, che hanno perso interesse, pubblico e scommettitori. Così si è generata una flessione progressiva della raccolta scommesse».

Un circolo vizioso impossibile da interrompere, soprattutto senza l'intervento deciso dello Stato. In Parlamento era arrivato nel 2012 un decreto salva-ippica del quale si sono perse le tracce. Urgono idee e investimenti per salvare un settore che sembra davvero alla deriva. Sia l'Unione Ippica Italiana che Confindustria Sistema Gioco Italia si sono recentemente lamentate dell'assenza di provvedimenti da parte delle autorità sulla delicatissima questione. «Abbiamo assistito purtroppo alla spettacolare assenza del ministero delle Politiche agricole. Non è il modo di affrontare un problema grave per tutta la filiera ippica», ha sentenziato il sopracitato Massimo Passamonti. La richiesta degli addetti ai lavori è evidente: bisogna aiutare, dal punto di vista economico, gli allevatori e gli ippodromi, che devono aver modo di allargare e migliorare l'offerta di gioco. «L'obiettivo - ha fatto sapere l'Unione Ippica - è pianificare un percorso che ci permetta di uscire dalla dimensione pubblica e definire un percorso di quattro anni per raggiungere l'autosufficienza. E se non ci sono i tempi necessari per affrontare la questione, arriveremo presto alla chiusura dei giochi».

Un coro tanto allarmante, quanto unisono.

Se il nostro Paese non vuole perdere questo sport, che ha una tradizione bisecolare (le prime corse in Italia, anche se non regolamentate, sono datate inizio 1800 ndr) e che per anni ha rappresentato un settore di eccellenza internazionale, occorre intervenire subito e in maniera concreta. Altrimenti, la situazione è talmente grave che, anche gli appassionati, per vedere un Gran Premio dal vivo, saranno costretti ad andare all'estero.

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