
Mi autodenuncio: non ho un utero e, pertanto, questo articolo per alcune femministe non dovrebbe esistere. Ma, onestamente, le loro idee mi interessano ben poco soprattutto quando, per una questione di genere (ma non siamo mica tutti un po' fluidi?), provano a togliere la possibilità di parlare a chiunque sia dotato di un organo sessuale maschile. Dopo settimane di polemiche, ieri si è tenuta una riunione in cui Regione Piemonte ha riscritto la convenzione della Stanza dell'ascolto. Al tavolo, si vede in una fotografia, Maurizio Marrone (Politiche sociali), Federico Riboldi (Sanità), Antonino Sottile (Direttore Sanità Regione Piemonte), Thomas Schael (Commissario Azienda Ospedaliera Città della Salute), Umberto Fiandra (Direttore sanitario Sant’Anna) e, infine, Claudio Larocca (Movimento per la Vita). Tutti uomini, come è facile intuire dall'immagine e dai nomi. Un affronto per certa stampa di sinistra.
Fanpage parla di disagio e scrive: "Un gruppo maschile che non si interroga sulla legittimità di decidere del corpo femminile. Anzi, con determinazione cerca di riaffermare il proprio potere: tentano di esercitare controllo dove sentono di perderlo. E cosa c’è di più potente del decidere sui corpi altrui?". Ovviamente, poi, non poteva mancare lui. No, non LVI, il capo di tutti i partiarchi, Benito Mussolini. Ma lui: il patriarcato. "Questa foto è la prova che il patriarcato è tutt’altro che superato. Storicamente, il dominio maschile si esercita anche sul controllo del ruolo femminile nella società: sessualità, lavoro, maternità. Le donne vengono viste come soggetti da guidare, disciplinare, mantenere in posizione subordinata. L’ultradestra non accetta la perdita di controllo e si accanisce sul corpo femminile, trasformandolo in campo di battaglia ideologico". E poi il solito repertorio: "Costringere una persona a portare avanti una gravidanza indesiderata è violenza. Proibire l’aborto è abuso. È assurdo che a decidere siano uomini che non vivranno mai le implicazioni fisiche, psicologiche, sociali ed economiche di una gravidanza. Essere contro l’aborto non significa tutelare la vita: è solo esercizio di potere e sopraffazione". Il punto è che in quella stanza dell'ascolto nessuno voleva obbligare nessuno. Si voleva soltanto ascoltare e appunto confrontarsi visto che, comunque la si pensi, l'aborto non è mai una scelta facile e lascia sempre ferite profonde.
La Stampa non è da meno e scrive: "Il consesso di sette adulti maschi che discutono insieme sulla riapertura della stanza dell’ascolto per le donne che sono intenzionate a interrompere la gravidanza e magari piene di dubbi, dolore e tante altre cose difficili da decifrare per loro stesse e figuriamoci per il resto del mondo, quella stanza dell’ascolto per la stanza dell’ascolto ha tutta l’aria di essere una di quelle occasioni in cui mica si ascolta per davvero. Si è convinti di ascoltare ma non è così. Nel caso specifico è quasi escluso che si tratti di ascolto, visto che non c’è nessuno – anzi nessuna – da ascoltare. Mancanza di ascolto per assenza della voce da ascoltare: quella di una donna. Ne sarebbe bastata una, senza pretenderne sette come gli uomini che si stanno occupando della stanza per l’ascolto. Una donna – che abbia vissuto o meno il dramma, la decisione, l’esperienza, il dolore e magari pure il sollievo di un aborto. Una donna (o due, o cinque o sette o nove). Ma anche una soltanto, per dare senso e credibilità al consesso riunito allo scopo di riattivare nei tempi più rapidi possibili la stanza per l’ascolto al Sant’Anna".
Immaginiamo uno scenario diverso. Immaginiamo che su quel tavolo, oltre agli esponenti politici, ci fosse stata un'attivista pro life, perché alla fine il senso della stanza dell'ascolto è quello di aprire anche a questa possibilità.
Le femministe se ne sarebbero fregate del suo utero, che evidentemente vale meno del loro, e avrebbero gridato allo scandalo. Non è quindi una questione di grembi. Ma di cervello. Se non è come il loro è meglio che tu non compaia in foto.