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Fernando Tambroni - Con il suo governo l'Italia sfiorò la guerra civile

Uomo della Dc, il suo esecutivo dura appena quattro mesi, dal 26 marzo al 27 luglio 1960. Uno dei classici “governi balneari”, come era molto frequente nella Prima Repubblica. Fu scaricato dal suo stesso partito

Fernando Tambroni - Con il suo governo l'Italia sfiorò la guerra civile

È un’estate abbastanza fresca quella del 1960. Ma il clima politico è a dir poco incandescente. Siamo sull’orlo di una guerra civile, con lo scontro fortissimo tra le forze dell’ordine, mandate in massa dal governo a sedare le piazze in rivolta per la “minaccia” del fascismo. In quell’estate iniziano le Olimpiadi di Roma e il governo, guidato dal democristiano Tambroni, si trova a fronteggiare una situazione esplosiva.

Tutto ha inizio a Genova il 30 giugno del 1960. Il Movimento sociale italiano ha deciso di tenere il proprio sesto congresso nel capoluogo ligure. Ma i partiti di sinistra, poiché la città è stata decorata con la Medaglia d’oro della Resistenza, vogliono impedirlo con tutti i mezzi. Dalle iniziali proteste lo scontro si fa sempre più duro, con gli scontri che da Genova si allargano a tutto il Paese. Il governo fa sospendere il congresso missino ma le agitazioni continuano, sempre più violente, culminando con un durissimo scontro tra polizia e manifestanti a Reggio Emilia, costato la vita a cinque persone. È la fine per quell’esperienza governativa. La Dc decide di cercare una nuova maggioranza e Tambroni dopo una decina di giorni si dimette, sostituito da Fanfani, che dà vita a un monocolore Dc sostenuto da Pri, Pli e Psdi. Tambroni, suo malgrado, finisce nel dimenticatoio: non ottiene altri incarichi di governo e non viene più ricandidato in Parlamento.

Nato ad Ascoli Piceno nel 1901 da una famiglia agiata, Tambroni si trasferisce molto presto a Matelica, in provincia di Macerata. Studia legge e diviene avvocato. A solo venti anni si mette in luce nella Fuci divenendo vicepresidente nazionale degli universitari cattolici italiani. Al contempo porta avanti la sua attività nel partito popolare, a livello locale, subendo un fermo di polizia per antifascismo. Nei primi anni della dittatura difende alcuni esponenti anarchici e comunisti accusati di sovversivismo per aver preso parte alle “giornate rosse” del 1926 ad Ancona. Disciolto il Ppi Tambroni accantona la politica (in un articolo sul Corriere adriatico abiura la propria fede e dichiara di disinteressarsi di qualsiasi attività contraria al regime), nel 1932, infine, si iscrive al Pnf. Più tardi motiverà questa scelta affermando di essere stato costretto.

Partecipa alla Seconda guerra mondiale, combattendo come volontario con la divisa della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, posto al comando di una batteria contraerea in provincia di Ancona. A partire dal 1943, con il regime in disfacimento, si dà molto da fare per organizzare le attività della Democrazia cristiana e viene eletto all’Assemblea costituente nel 1946. Dopo due anni è deputato.

Considerato un “gronchiano” di sinistra, ricopre diversi incarichi ministeriali (Marina mercantile, Tesoro), fino al punto più alto, la guida del ministero dell’Interno, succedendo a Mario Scelba. Siede al Viminale dal 1955 al 1959. Dagli archivi segreti del ministero scopre un fascicolo a suo nome in cui è annotata la sua relazione extraconiugale con un’attrice, Sylva Koscina.

Quel Tambroni di "sinistra"

Appena eletto in Parlamento, nel 1948, Tambroni promuove un convegno a cui prendono parte diversi esponenti dell’area di sinistra della Dc, i cosiddetti “Gruppi di politica sociale”. Tra le loro istanze emerge la richiesta di una maggiore democrazia in seno al partito e, sul piano internazionale, una certa perplessità sullo “schiacciamento” sulle posizioni degli Stati Uniti. La risposta del partito è durissima. I vertici della Democrazia cristiana definiscono i partecipanti “un tipo di organizzazione [...] contraria alla disciplina sostanziale del partito”. Non ci sono conseguenze gravi ma anzi, avendo in quel frangente convinto Gronchi a partecipare al convegno, Tambroni si guadagna la fama di politico di rango nazionale, con un orientamento abbastanza critico nei confronti del leader De Gasperi e aperto alle riforme sociali. Un Tambroni di “sinistra” che, paradossalmente, risulterà in vera e propria antitesi rispetto a quello tutto “ordine e sicurezza” del suo governo nel 1960.

Tambroni
Archivio Quirinale

L'uomo dei dossier e dei manganelli

Nel libro "1960. L’Italia sull’orlo della guerra civile" (Mondadori, 2020) Mimmo Franzinelli e Alessandro Giacone ripercorrono la parabola politica di Tambroni. La domanda che si pongono è se il politico marchigiano sia stato, o meno, un criptofascista. Partiamo dalle origini, l'iscrizione al Pnf. Come è stato per molti l'adesione al partito di Mussolini non è stata per convinzione quanto per quieto vivere o mera convenienza (poter continuare a lavorare in santa pace come avvocato). Successivamente, quando aderisce alla nascente Dc, questo suo passato con l'orbace fa storcere la bocca ad alcuni e gli crea qualche diffidenza.

Negli anni alla guida del ministero dell'Interno si avvale in modo massiccio del dossieraggio (non solo contro i comunisti), in cerca di complotti, trame e sotterfugi. Una pratica che, negli Usa, vede per decenni protagonista J. Edgar Hoover, capo indiscusso dell'FBI, in grado di controllare tutti, politici, imprenditori, personaggi dello spettacolo e persino presidenti. Al di là di questi aspetti, per valutare i quali dobbiamo tenere conto dell'esistenza della Guerra fredda e del mondo diviso in due blocchi militarmente contrapposti, possiamo affermare senza timore di smentita che in Tambroni si nascondesse un fascista travestito da democristiano, soprattutto in virtù di quanto avviene nell'estate 1960? C'è un dettaglio di non di poco conto di cui occorre tenere conto. Su consiglio del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi una volta incaricato di formare il governo Tambroni prova a coinvolgere il Psi per dare vita a un esecutivo di centrosinistra, ma il tentativo non va a buon fine e, più tardi, ironia della sorte, a far nascere un governo targato Dc-Psi è il più grande avversario di Tambroni in seno alla Dc, Aldo Moro.

Tambroni
Archivio Quirinale

Capitolo Genova. Nel 1960 si registra un vero e proprio salto di qualità del conflitto sociale, con feroci scontri di piazza e morti. Di sicuro la risposta del governo è dura. Alla base c'è un timore fortissimo, il rischio di veder saltare tutto, dato che la piazza, non solo a Genova ma da Nord al Sud del Paese, non è guidata dai grandi partiti di massa, Pci e Psi, e nemmeno dai sindacati. Hanno inizio i primi tentativi di porre rimedio a quella che viene definita la "Resistenza tradita", che più tardi, negli anni Settanta, sfociano nella lotta armata.

La sinistra parlamentare non è in grado di controllare la rabbia sociale della piazza e la Dc non trova altro rimedio che fare un asse con i missini, assai spericolato dato che arriva appena quindici anni dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Messo fuori scena dal suo stesso partito, che decide di non ricandidarlo più, Tambroni si spenge nel febbraio 1963 dopo aver lasciato Roma ed essere tornato, sconfitto, nella sua terra marchigiana.

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