Fiamme, terrore e morte nel tunnel del Fréjus

Nel 2000 un episodio analogo, nello stesso tratto di strada Ma all’epoca si evitò la tragedia

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Andrea Acquarone

nostro inviato a Bardonecchia (Torino)

Le fiamme. La paura. Poi le sirene dei soccorsi: il tunnel del Fréjus è chiuso, Francia e Italia divise e irraggiungibili. Nella galleria c’è fumo e ci sono dei veicoli. C’è stato un incidente, non si sanno ancora le cause. Poi arriva la notizia peggiore: c’è un morto. Passano i minuti e il numero delle vittime sale. Sarebbero almeno tre. Un’altra tragedia. Si lotta tra le fiamme per capire se c’è qualcun altro, se bisognerà trascinare altri cadaveri all’esterno. Dal lato francese i soccorritori raccontano una situazione caotica: una ventina di persone vengono sgomberate, i pompieri escono e fanno fatica a respirare. Sul versante italiano, invece, si combatte contro le fiamme.
Secondo una prima e frammentaria ricostruzione, nell’incidente sarebbero coinvolti cinque camion. Uno trasportava pneumatici, un altro colla, uno patate, un altro ferro e l’ultimo carne. Quello che trasportava pneumatici, guidato da un autista serbo di 23 anni, Dalibor Vuksanovic, è quello che ha preso fuoco all’interno del tunnel, da cui è scaturito questo maledetto incendio. Dicono gli esperti accorsi sul posto che non si sarebbe scontrato con altri veicoli. Dal sopralluogo effettuato dai primi soccorritori entrati nella galleria non sembrerebbero infatti emersi elementi che possano far pensare a un incidente. La zona dove si è verificato l’incendio - dove si trovano il camion di pneumatici e almeno altri due automezzi - però, è difficile da raggiungere per i soccorritori italiani: tra loro e i camion in fiamme ci sono ancora diverse centinaia di metri che a causa delle alte temperature, che hanno superato i 600 gradi, non possono essere percorsi.
Forse sulle cause del disastro potrebbe ora far luce il video delle telecamere a circuito chiuso. Certo la rabbia è molta. Anche perché proprio ieri s’è tenuta una manifestazione di protesta contro la Tav e contro l’ipotesi della costruzione di una seconda galleria di sicurezza.
Sembra una maledizione quella dei trafori italiani. È successo già sotto quello del Monte Bianco e i morti furono 39. È successo sotto il San Gottardo: 11 persone non uscirono più. Adesso tocca a questo tratto di strada che mette insieme Italia e Francia, che nel 2000 ospitò un dramma che non diventò tragedia per pochissimo. Ci furono soltanto feriti. Stavolta ci sono almeno tre cadaveri.
Entrato in funzione il 12 luglio 1980, il traforo del Fréjus è un’importante opera di collegamento franco-italiana, che si estende tra Modane, nella Savoia, e Bardonecchia, in Piemonte. Ha una lunghezza di 12,870 chilometri e una larghezza di nove metri: vi si possono incrociare due automezzi pesanti o due pullman con un terzo in sosta. La pendenza in salita è dello 0,54% nella direzione Francia-Italia. L’accesso al Traforo avviene dalla parte francese tramite l’Autostrada A 43, che parte da Lione; dalla parte italiana tramite l’autostrada A 32 che parte da Torino. All’interno del tunnel - ogni anno percorso mediamente da oltre due milioni veicoli nei due sensi di marcia - vi sono cinque piazzole di sosta che permettono a un automezzo pesante o a un pullman di fare inversione di marcia in caso di emergenza, in presenza di personale di sicurezza. Le condizioni di sicurezza sono definite ottimali grazie a un imponente impianto di illuminazione, due posti di controllo, punti Sos, rifugi ventilati collegati direttamente alla via di fuga. All’interno del tunnel sono consentiti il trasporto di prodotti agro-alimentari e di animali vivi, e inoltre (con alcune restrizioni) trasporti eccezionali e di materie pericolose.

In seguito al tragico incidente del Monte Bianco del 1999 anche il traforo del Fréjus è stato dotato di un sofisticato sistema termografico a infrarossi per la rilevazione di eventuali punti di surriscaldamento di un veicolo, che potrebbero rischiare di provocare un incendio in galleria. Questo veloce controllo viene eseguito passando attraverso un apposito «portale termografico» dove apposite telecamere sensibili all’infrarosso registrano eventuali anomali surriscaldamenti nel veicolo.

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