RomaMonti sfida Berlusconi e fa spallucce di fronte all'ipotesi del Cavaliere di ritirare l'appoggio all'esecutivo delle tasse: «Minacce di ritiro della fiducia non possono essere fatte perché noi non lo vivremmo come una minaccia - dice il Professore rispondendo alla domanda di una cronista a Madrid, dopo il bilaterale con il premier Rajoy -. Siamo stati richiesti di dare un contributo in un momento difficile del Paese e, anche se non sta a noi dirlo, credo che stiamo avendo buoni risultati». Insomma, Monti va avanti a testa bassa, forte di due considerazioni. La prima è che in fondo spera che l'uscita di Berlusconi possa essere in qualche modo rettificata. La seconda è che, se non avvenisse, sa che non tutto il Pdl seguirebbe le indicazioni del Cavaliere sulla linea dello stacco della spina. Un gioco col fuoco, però. Perché molti pidiellini, non necessariamente berlusconiani di ferro, mal sopportano le politiche iper-rigoriste del governo. In ogni caso, Monti tira dritto: «Se qualcuno volesse ritirarci la fiducia... A noi non toglierebbe niente, se non un'attività di governo, che non è stata da noi ricercata». Come a dire: se vogliono farmi cadere poi se ne prenderanno la responsabilità davanti agli italiani. Dice quindi: «Credo che la cosa migliore sia continuare a fare il nostro lavoro con orizzonte 2013 come è stato sempre nei nostri intendimenti e in ciò che il presidente della Repubblica e il Parlamento ci hanno chiesto».
È ovvio che non è vero che Monti si farebbe da parte a cuor leggero. E lo fa capire poco dopo: «Cosa succederebbe per la fine anticipata dell'esecutivo? Domanda da rivolgere alle forze politiche, ai mercati, a tutti ma non a me. E non voglio speculare su questo». Già, i mercati. Stuzzicato dai cronisti che gli chiedono conto dell'innalzamento dello spread di ieri, imputandone la corsa al rialzo alle parole del Cavaliere di sabato scorso, il premier gioca la carta dell'ironia ma punge: «So che lei è un'analista competente... È una ipotesi cui non avevo pensato - risponde serio suscitando le risatine della platea -. Ne terrò conto, ancorché la questione dello spread sia molto complessa e problematica». Altra stoccata a Berlusconi che, sabato, aveva attaccato a testa bassa l'Europa egemonizzata dalla Germania: «L'Italia non dimentica, ma qualche volta qualche italiano sì, di essere stata tra i padri fondatori dell'Europa». Del differenziale dei tassi di interesse tra titoli di Stato italiani e bund tedeschi, il Professore aveva parlato poco prima: «Siamo persuasi che l'attuale livello dello spread sia più alto del giustificato». Perché? «Prendo atto che è passato da 330 a 350, per qualche ragione che mi sfugge, ma sempre meno di 575».
Il Professore, ancora una volta, giura che il governo non intende chiedere l'attivazione dello scudo anti-spread: «È importante che sia attivabile, operativo e non solo teorico. Ma non riteniamo di dover attivare questo strumento». Anche perché «chiedendo l'Italia questo strumento a vantaggio di tutti, non lo chiedeva perché voleva una scorciatoia ai suoi problemi». Quindi boccia l'idea di un super-commissario: «Non è una priorità. Assomiglia alla ricerca di un mito. Bisogna stare attenti alla ricerca di un ulteriore livello di certezza, di enforcement delle regole di bilancio, di cinture di sicurezza, per quei Paesi che più si sentono spaesati dal rischio che altri violino regole di bilancio». E spiega: «C'è già il trattato Maastricht, quello di stabilità e crescita, il fiscal compact, il two pact e dichiarare di avere bisogno di ulteriori enforcement, non risuona molto bene anche in termini di fiducia che ogni Paese ha negli altri».
Quindi, scivola su una gaffe: «Quando Francia e Spagna, nel 2003, hanno violato il patto di stabilità...». Non era la Spagna ma la Germania.
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