Per dirla alla Maurizio Milani, il migliore dei comici in circolazione, ieri tre quarti dei parlamentari e molti prestigiosi commentatori hanno «scherzato» Renzi per il suo discorso di fiducia. Lo hanno bollato come discorso «poco alto», «da sindaco», «da capo boy scout», non autorevole nei contenuti e non solenne nella mimica. Poveretti. Che brutti scherzi fa l'invidia. Rosicavano da matti, loro che hanno fatto la questua per un posto in lista da peones, nel vedere un ragazzino neppure parlamentare sullo scranno più alto. E allora giù con i giudizi classisti, eccoli scandalizzarsi per quella mano in tasca o per gli aneddoti personali fuori luogo nel tempio della politica.
Aggiungo anche io un piccolo aneddoto. Proprio ieri ero a colazione con un imprenditore che, partendo da un titolo di studio di terza media, ha messo su un impero. Mi ha confessato che vent'anni fa si innamorò di Berlusconi perché per la prima volta in vita sua sentiva un politico «parlare così semplice che anche io lo capivo». E poi basta ricordare che Mario Monti, per citarne uno, fece un discorso di insediamento talmente alto e autorevole che neppure lui lo capì, almeno a giudicare dai risultati ottenuti. Sicuramente non lo avevano capito gli italiani che infatti, alla prima, occasione lo umiliarono nelle urne.
Il problema di Renzi non è la qualità oratoria del suo discorso di ieri (lui parlava agli elettori, non alla platea che aveva davanti). E neppure che non ha detto nulla di concreto, cosa peraltro vera. Un buon politico non svela a una assemblea di politicanti vendicativi le sue vere carte. È giovane, ma non è fesso. Sta tenendo gli alleati (e pure il suo partito) sulla corda. Sta nel vago, in modo che tutti siano un po' delusi ma nessuno deluso al punto da pugnalarlo in culla. Insomma, continua nel gioco che gli riesce meglio: prendere per i fondelli amici e avversari (distinzione che peraltro nella sua ambiziosa e cinica testa non esiste).
Incassata la fiducia, cioè da domani, Renzi qualche carta dovrà cominciare a girarla. E lì lo aspettiamo.
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