Roma - Il Fli si sbriciola come un wafer e a Fini non resta che la Camera. Quella dei deputati, visto che quella di Montecarlo l’ha già regalata al cognato Tulliani. Il gruppo al Senato, infatti, ieri ha perso una pedina, andando sotto il numero minimo di dieci unità per sopravvivere. A sbattere la porta Giuseppe Menardi, cuneese, da tempo allergico alla deriva antiberlusconiana: «La mia esperienza all’interno di Futuro e libertà al Senato è finita - dice alle sette di sera -. L’idea, il pettegolezzo uscito sui giornali, di un’alleanza di tutti contro Berlusconi che ci esclude dal campo del centrodestra non la condivido». Un addio che rischia di avere un effetto valanga, posto che pure Francesco Pontone è alla vigilia dell’addio.
Ma anche alla Camera la situazione è critica: Luca Barbareschi sta per sbattere la porta mentre il coordinatore del Piemonte Roberto Rosso medita la fuga. In compenso Adolfo Urso, «pesante» ex colonnello finiano, non ha alcuna intenzione di farsi passare il mal di pancia e si sta guardando intorno. Ieri non sono passati inosservati i colloqui con il «responsabile» Silvano Moffa e con Altero Matteoli. «Non ho nulla da dire», si tappa la bocca il delusissimo ex vice ministro. Per ora.
Per Fini un disastro su tutta la linea. Di fatto il presidente della Camera perde il gruppo di palazzo Madama che, salito sull’Aventino sotto la guida di quello che viene già ribattezzato la «colomba Pasquale» Viespoli, è andato al voto in ordine sparso sul milleproroghe. Il capogruppo ha votato contro assieme a Mario Baldassarri, Maurizio Saia e Giuseppe Valditara. Pontone si è astenuto mentre Maria Ida Germontani ha spiegato che non poteva esprimersi contro un provvedimento che, nel merito, accoglie una sua vecchia battaglia sulla tassazione dei fondi. Come la senatrice, non hanno votato Egidio Digilio, Candido De Angelis e Barbara Contini.
Il senatore Menardi ha reso esplicito il suo malumore già in mattinata, confermando di essere sull’uscio di casa Fli: «Il gruppo esiste formalmente e non so per quanti giorni o ore». Infatti poco dopo ha rotto gli indugi e se n’è andato. Benzina in casa finiana, già avvolta dalle fiamme delle polemiche. Si mormora che, per tamponare la perdita, Bocchino & soci abbiano intenzione di tornare a corteggiare il transfuga pidiellino Enrico Musso. Ma il senatore genovese, ora nel misto, contattato dal Giornale giura: «Quelli del Fli hanno cercato di convincermi a seguirli ma non nelle ultime ore».
Pontone, invece, nelle retrovie racconta ad alcuni colleghi: «Tempo fa lo avevo detto a Gianfranco: “Ti faccio un favore a tenere in piedi il gruppo ma appena ti trovi un decimo senatore che mi sostituisce me ne vado”. Adesso a Fini toccherà trovare pure il nono...». Anche Pontone, anziano senatore ed ex tesoriere di An, detesta Bocchino. In molti ricordano quando, irritato dal fare da guappo di Italo, nel 2001 gli rifilò due ceffoni nella sede del partito di Napoli. La scelta di affidare il volante del partito a Italo e all’ala più falchista di fatto fa schiantare il Fli. Anche la senatrice Barbara Contini si sfoga: «Da Gianfranco mi sarei aspettata almeno una telefonata. In sei mesi non mi ha mai chiamato. È una questione di rapporti umani». E ancora: «Noi senatori abbiamo rischiato tutto per permettere la nascita del gruppo e il “riconoscimento” è stato quello di non averci mai chiamato, siamo stati tagliati fuori all’assemblea costituente di Milano e neppure è arrivata una smentita o una presa di posizione contro chi dice che non siamo indispensabili». Il riferimento esplicito è al pasdaran Granata, cui la Contini non le manda a dire: «Ho fatto la guerra, si immagini se mi può spaventare qualche ragazzino che ha problemi con l’italiano». Insomma, è rissa.
E Fini? Gli uomini a lui vicini lo descrivono furibondo ma anche determinato a tirare dritto: «Se cedo ai ricatti adesso è finita davvero». Comunque manda avanti il suo proconsole. Bocchino minimizza gli addii: «Problemi che prima o poi dovevamo affrontare».
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