Politica

Finita l’emergenza, toccava ai sindaci. Che hanno fallito

A leggere le cronache napoletane di questi giorni, con il riesplodere dell’emergenza (nonchè della guerriglia) legata alla monnezza, viene da pensare che l’unica cosa non precaria, in questa città struggente e sgarruppata, sia proprio la precarietà. Anzi, le «precarietà». Che qui diventano regole, quasi condizioni esistenziali. Almeno fino al momento in cui qualcuno non se ne impadronisce per interessi propri - di cosca, di partito o di bottega cambia poco - trasformandole al tempo stesso nelle micce e nell’esplosivo indispensabili per far deflagrare i problemi. È quanto sta accadendo ancor oggi con l’immondizia, proprio com’era successo due anni fa. È un deja vu, pur se con qualche oggettiva, ma peraltro ininfluente differenza. Il risultato non cambia.
Le precarietà, si diceva. Si potrebbe partire da quella cronica del lavoro, che nella lunga stagione delle amministrazioni di sinistra aveva gonfiato gli elettorati bassoliniani e jervoliniani grazie alla proliferazione dei contratti a termine. Utilizzati con maggiore pervicacia proprio nel settore nettezza urbana in quanto «industria» dai grandi numeri. Perché grandi numeri significano tanti voti. Con l’avvilente conseguenza che oltre ai contratti è sempre a termine anche la speranza. Era successo due anni fa con la rivolta degli spazzini assunti «a tempo» sotto il regno di ’o governatore; e il copione si ripete puntualmente oggi col boicottaggio attuato da quegli autisti e dipendenti delle imprese ambientali che vedono ormai agli sgoccioli la loro occupazione provvisoria. Insomma, se gridiamo qualcuno sentirà.
E siccome i problemi si sovrappongono ai problemi, è opportuno ricordare come precaria sia già la quotidiana esistenza delle oltre seicentomila persone che vivono aggrappate alle falde di un Vesuvio che da troppo tempo è pericolosamente silenzioso. Di fatto, è una città sulla città, o meglio un vulcano sul vulcano. È venuta su nei decenni, nella totale anarchia urbanistica e in buona parte abusivamente con buona pace di tanti amministratori locali e perfino di un ex ministro all’Ambiente sempre inutilmente sorridente, il verde e perdipiù campanissimo Alfonso Pecoraro Scanio. Il cui faccione, nei giorni della puzza e della vergogna del 2008 era stato stampato su un manifesto - grande ironia partenopea - tra la scritta «Il Sole che ride...» e un’altra, poco più sotto, «... e la Napoli che piange». Sta di fatto che oggi non bastano gli scongiuri a San Gennaro, né sporadiche esercitazioni di allarme a far dormire sonni tranquilli a quegli uomini di scienza o quantomeno di semplice buon senso che enaudianamente conoscono, ma che nessuno ha mai messo nell’auspicabile condizione di deliberare. Dicendo magari che lì non bisognerebbe proprio vivere.
Precaria, nelle zone vesuviane, è peraltro anche la salute, come aveva ammonito lo stesso Guido Bertolaso nel 2008, citando i risultati di uno studio da lui commissionato alla Organizzazione mondiale della sanità. «Esiste - scriveva il commissario - una correlazione statistica tra la presenza di siti di abbandono incontrollato (le discariche abusive, ndr) e l’impatto sulla salute nei 196 comuni delle due province (Napoli e Caserta, ndr)». Con un tasso di mortalità per numerose patologie, aggiungeva, che «è superiore di circa il 10%» alla media nazionale. Situazione cambiata ben poco e che se certo non giustifica, certamente fa capire quale possa essere la molla emotiva che ha portato le mamme in strada o a devastare gli uffici delle amministrazioni comunali, come sta succedendo da Terzigno a Boscoreale, da Pompei a Scafati.
Siccome però non c'è limite al peggio, precario è diventato anche il funzionamento a singhiozzo del termovalorizzatore di Acerra, il Moloch tecnologico che dopo un blocco durato due anni era stato ripristinato a tempi da record dall'intervento del governo, consentendo di ripulire le strade della spazzatura e facendo sperare nella fine definitiva di un'emergenza vergognosa. Ora che purtroppo invece ci risiamo, ora che però la responsabilità delle gestione non è più di Bertolaso e Berlusconi, ma delle amministrazioni locali, speriamo almeno di non sentir più ripetere cose del tipo "puzza, governo ladro!". Anche perché l'ultima precarietà in ordine di menzione, ma ahimè forse la prima di quelle napoletane quando si parla di monnezza, ovvero quella della raccolta differenziata, è qualcosa che ricade direttamente e unicamente sulle amministrazioni locali. Come dimostra, per converso, il buon funzionamento di questo tipo di pratica civica e civile nella non lontana Salerno, per non dire nell'ancora più vicina Costiera Amalfitana.

Sono pochi chilometri, come girare un angolo, e quell'Inferno diventa il Paradiso.

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