Fischiare il segretario della Lega Nord non si può, è una lesa maestà. «Ci sono delle regole, queste piazzate non si possono fare e non mi piacciono», ha tagliato corto Roberto Maroni ieri mattina da Radio Padania e poi dal Vinitaly di Verona, dove ha brindato assieme al suo braccio destro Flavio Tosi. Le contestazioni di domenica a Pontida sono «lo sfogo di 10 pistola» contro i «20mila presenti sul pratone». «Ventimila contro 10 non sono due Leghe ma la lega e 10 pistola, come li chiamiamo noi in Lombardia, alcuni dei quali neanche leghisti: chi si è prestato a questo gioco ne subirà le conseguenze, com'è giusto che sia. Mi chiedo che cosa viene a fare a Pontida un ex leghista, c'entra come i cavoli a merenda».
Mano pesante con le contestazioni. «Alcuni giornali continuano a sostenere l'insostenibile, perché non possono accettare che la Lega sia tornata al centro della scena politica, speravano che sparisse come l'Udc e l'Idv. Invece c'è. E siamo determinanti». Il partito è uno, anche se all'interno si discute: Umberto Bossi ha detto che «chi dice che va tutto bene è un leccaculo». Per Maroni, invece, il primo raduno di Pontida della sua gestione di segretario federale è stato «una giornata importante, ho visto voltar pagina un anno dopo gli scandali. Mi sono commosso, è stata un'emozione. È andata benissimo, c'era un sacco di gente, oltre 20mila persone. Il prato è un luogo sacro e immortale. La contestazione è stata microscopica, 15 pistola tutti identificati».
E i congressi? Le critiche di Bossi? Lo spauracchio di scissione? «Non ci sono mai state voci in tal senso, sono solo stupidaggini scritte dai giornali - ribatte Maroni -. Piuttosto, certe scelte le prenderanno i congressi, a cominciare dal prossimo in Piemonte. Abbiamo invece ribadito di aver invertito la tattica: mentre l'azione politica prima era a Roma, ora è al Nord, e la capitale è solo una frontiera di controllo».
Anche Tosi, il più fischiato a Pontida, smorza le contestazioni, e lo fa con toni più morbidi rispetto al segretario federale: «È una questione di numeri, a fronte di migliaia di militanti qualche decina non ha capito qual è il bene comune del movimento. L'unità della Lega non è mai stata in discussione. L'obiettivo è sempre quello che i militanti da anni chiedono. Abbiamo iniziato a portare a casa qualcosa: la macroregione è ora realtà anche se qualcuno non l'ha capito. Pazienza. Il caso Veneto? Direi proprio che non esiste».
Ma i dissidenti non mollano il colpo. Per esempio, si domandano perché usare il pugno di ferro se i contestatori sono dei «pistola».
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