Dal flop al successo in un anno. L'ex scout è diventato furbetto

Solo 12 mesi fa Renzi andava ko contro Bersani, poi la lenta conquista della base da sempre scettica. Ma del partito gli interessa poco: punta a Palazzo Chigi

Un anno fa era lì a leccarsi le ferite, sconfitto da Pier Luigi Bersani alle primarie per la premiership. Era lui, Matteo Renzi, il giaguaro da smacchiare. Si era ritirato a Firenze, promettendo che si sarebbe occupato soltanto della sua città. E oggi, rieccolo più forte di prima. Renzi è pronto a prendere in mano il primo partito d'Italia e scalare Palazzo Chigi, il vero obiettivo dell'ambiziosissimo ex scout.
La lunga marcia non è scandita da tappe eclatanti, ma da un lungo lavorio soprattutto all'interno del partito. Dopo la sconfitta alle primarie dell'autunno 2012, Matteo si riallinea. La sottomissione a Bersani è sancita il 1° febbraio, quando i due tengono insieme un comizio a Firenze: saliranno ancora sullo stesso palco il 21 febbraio a Palermo benché il segretario non sia stato benevolo con Renzi nel compilare le liste elettorali. Il Rottamatore abbozza, mette nel conto e si consola partecipando alla trasmissione Amici di Maria De Filippi, dove si presenta in giubbotto di pelle nera alla Fonzie sconcertando un partito allo sbando.
Il momento per cominciare a togliersi i sassolini dai mocassini arriva alla vigilia del voto per il Quirinale. Renzi contesta le candidature di Anna Finocchiaro e Franco Marini, beccandosi i rimproveri di mezzo partito. Il 19 aprile, quando 101 franchi tiratori del centrosinistra impallinano Romano Prodi, segna il crollo delle velleità bersaniane e Renzi torna improvvisamente alla ribalta, al punto da essere considerato una possibile alternativa a Enrico Letta come premier.
Ma non è ancora il momento di «Renzie». Bersani cade, subentra Epifani, un reggente fino al congresso di fine anno: ecco il nuovo traguardo di Matteo. Il 21 maggio esce per Mondadori il libro Oltre la rottamazione, in cui Renzi corregge il tiro superando l'idea (molto contestata alle primarie perdute) di volere fare piazza pulita del partito. Come gli suggerisce il braccio destro Luca Lotti, Renzi va non più a rottamare, ma a conquistare la «macchina» del Pd. Il suo avversario ora sono Letta e il modello delle larghe intese.
Renzi attacca il governo senza sciogliere gli interrogativi sul proprio futuro. La tensione nel Pd raggiunge un culmine quando il Rottamatore svela a Repubblica, in un'intervista del 9 luglio, che «tutti mi chiedono di candidarmi» e lui non può che assecondarli. «Così cambierò il Pd», spiega. Dieci giorni di fuoco di sbarramento inducono Renzi a zittirsi. Il silenzio stampa è annunciato in un'intervista a Bersaglio mobile dell'amico Enrico Mentana. Ma la sordina dura appena tre settimane: il 7 agosto Matteo rompe gli indugi alla festa Pd di Castelfranco Emilia (Modena). Un mese dopo alla festa nazionale Pd di Genova, ancora intervistato da Mentana, fa sapere: «Sono pronto a candidarmi per guidare il Pd».
La svolta è segnata. Ripartono gli slogan, si riforma una nuova squadra. Il Rottamatore rottama gli scudieri del 2012: Giorgio Gori, Giuliano Da Empoli, Roberto Reggi e Luigi De Siervo lasciano il posto a una task-force formata da Marco Carrai, Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Dario Nardella, Stefano Bonaccini. Un nuovo «cerchio magico» di fedelissimi in cui Renzi spicca come l'uomo solo al comando che non teme di accumulare le poltrone di sindaco e capo partito.
Il 12 ottobre a Bari viene ufficialmente lanciata l'Opa sul Partito democratico. Nel frattempo Renzi ha già incassato il sostegno dei veltroniani, di Dario Franceschini (con Piero Fassino e Marina Sereni), di Michele Emiliano, Nicola Latorre, Fabrizio Rondolino e altri bersaniani pentiti. Luca Landò sostituisce il bersaniano Claudio Sardo alla guida dell'Unità. Arrivano anche gli appoggi di personaggi come Flavio Briatore, che a Sky dice: «Se Berlusconi non è più in Forza Italia io voterò Renzi e non il Pdl perché spero che finalmente arrivi qualcuno a fare la rivoluzione», e Carlo De Benedetti, la tessera numero 1 del Pd che al Corriere della Sera proclama di aver scaricato Bersani a favore del giovane Renzi.
A fine ottobre il leader «in pectore» del Pd chiude la convention della Leopolda con questo slogan: «La sinistra che non cambia si chiama destra».

Venti giorni dopo, in un turbine di polemiche sul tesseramento gonfiato, vince il primo round delle primarie nelle sezioni locali del Partito democratico con il 46,7 per cento contro il 38,4 di Gianni Cuperlo e il 9,2 di Pippo Civati. Massimo D'Alema lo attacca duramente: «È un ignorante, un Gianburrasca, l'uomo dell'establishment». Ma la rivincita del Rottamatore è dietro l'angolo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica