Flores d'Arcais, il forcaiolo che sogna il Cav in galera

Il marchese rosso amico dei pm e già folgorato da Craxi è ossessionato da vent'anni dall'odio verso Berlusconi

Flores d'Arcais, il forcaiolo che sogna il Cav in galera

Tipo nomade e stravagante, il marchese Paolo Flores d'Arcais è di una mutevolezza ai confini dell'isteria. Li avrebbe travalicati se non avesse trovato un punto fermo: l'odio per Silvio Berlusconi. Sentimento ossessivo che da vent'anni dà senso alla sua vita. Grazie all'ancoraggio, il settantenne Prof d'Arcais gode oggi di un discreto equilibrio psicologico e rappresenta una figura eminente del forcaiolismo nostrano.
D'Arcais è il demiurgo di Micromega, un bimestrale di proprietà del ticinese Carlo De Benedetti. Ai tempi di Mani Pulite, la rivista fu ribattezzata «Gazzetta ufficiale delle Procure» e da allora presidia con autorevolezza quest'avamposto. I lettori sono gli stessi del Fatto Quotidiano: malpancisti di destra e sinistra che di fronte alla carcerazione di politici e potenti esultano come le plebi quirite per il mirmillone che scanna il reziario.
Identica anche la cerchia dei prestigiosi collaboratori: Totò Di Pietro, Gian Carlo Caselli, Antonio Ingroia, Marco Travaglio, Dario Fo, Furio Colombo e via ammanettando.

Micromega svetta, tuttavia, per la quantità di appelli di cui è promotrice, accolti con solluchero da esseri oscuri e furiosi che si appagano firmando. I più assidui stanno acquistando la notorietà di Gabriele Paolini, il disturbatore tv. L'ultimo appello è stato il classico richiamo della foresta per la genia micromegana: sbattiamo in galera il Cav, revocandogli le cure dei vecchietti. «La libertà di Berlusconi è un'indecenza - recita il bellicoso comunicato -. Il reo la sta utilizzando... per infangare le istituzioni, insultare i magistrati... con la speranza di un lurido tornaconto elettorale. Basta! (Deve andare) in galera o in stringenti domiciliari che gli inibiscano la scena pubblica, che invece continua impunemente a lordare». Nei termini, «indecenza», «lurido», «lordare», si riconosce il gusto del marchese d'Arcais per le sfumature.

Tra i firmatari, oltre a lui, baciapile e miscredenti. Primo sottoscrittore è un prete, don Aldo Antonelli, che di Berlusconi ha detto: «Irredimibile, un'eccezione a livello biologico». Lo affianca un fiero mangiapreti, il vendoliano, Carlo Flamigni, socio Uaar, Unione degli atei e agnostici razionalisti. Miracoli del Berlusca: oltre a dare a d'Arcais una ragione di vita, concilia diavolo e acquasanta. Solo per regalarci questo circo, Silvio va preservato con la massima energia.
Di antico ceppo marchionale sardo, Paolino Flores d'Arcais è nato casualmente a Cervignano del Friuli, ma ha sempre vissuto nella Capitale. Si è laureato in Filosofia con Lucio Colletti che lo prese come assistente ma essendo il professore ironico e l'allievo quaresimalista, presto si separarono. La carriera universitaria di Paolino finisce qui, ma l'etichetta di filosofo gli è rimasta. Papà e mamma erano cattolici di sinistra, il figlio invece è ateo. Lo sono, ha rivelato, poiché «nessuno mi ha mai spiegato perché fosse necessario ipotizzare un Dio di fronte a un qualsiasi problema». È il filosofo che parla. Non resta che tacere.

Mancando di agganci trascendenti, Paolino si è buttato sulle cose del mondo facendo il giro delle sette chiese progressiste. Fanciullo si è iscritto nel Pci ma, insieme, abbracciò il trotzkismo (rivoluzione permanente). Divenne così petulante in questa convinzione che il partito incaricò Renato Nicolini, il futuro «assessore all'effimero», di cacciarlo. Il giovanotto si avvicinò allora al Manifesto e ai sessantottini. L'Urss gli venne in antipatia e cominciò a stravedere per i dissidenti dell'Est europeo al punto da sposare, in prime nozze, una profuga polacca. Il matrimonio finì di peste e Paolino l'avrebbe fatta finita se all'orizzonte non fosse apparso Bettino Craxi. Fu Carlo Ripa di Meana a presentarli, fine anni '70.
D'Arcais si innamorò perdutamente di Craxi. Bettino lo affidò a Federico Cohen che gestiva il circolo di Mondo operaio e la rivista omonima, fucina di giovani anarcoidi in cerca di casa: Ernesto Galli della Loggia, Giampiero Mughini, Luciano Pellicani, ecc. Flores d'Arcais divenne uno stipendiato del Psi. A fine mese passava a riscuotere da Rino Formica, il futuro ministro, allora tesoriere del partito. Formica contava a voce alta i bigliettoni prima di darglieli: «Centomila, trecentomila, un milione. Ma quanto c..zo ci costa questo intellettuale», diceva con la sua tipica erre moscia. L'idillio socialista finì presto. Paolino, che non si sentiva valorizzato, si mise a fare dispettucci e fu messo alla porta. Cominciò a detestare Craxi e riprese a vagolare le stie della sinistra, ripudiando di continuo le sue scelte: radicali, verdi, Pds, Rete, Girotondi (di cui fu l'inventore), Pd, Idv, fino al 2013, quando ha votato Ingroia. Di quest'uomo insoddisfatto e malmostoso, irrazionale e apocalittico, lo stesso Formica ha detto: «È come un bevitore che fa il giro di tutte le cantine e sputa il vino che beve».

Quando, negli anni '70-'80, tra le sue balzane simpatie ci furono i «compagni che sbagliano», contigui al terrorismo rosso, l'attuale giustizialista adoratore dei pm, scrisse articoli infuocati contro la magistratura. Ecco alcuni excerpta di quando si ergeva a difensore della giustizia giusta in favore dei ceffi in passamontagna. «La parola di chi denuncia contro la parola di chi è imputato: garantismo vorrebbe che “in dubio pro reo”». Ottimo proposito che però dimenticherà quando imputato sarà l'odiato Craxi. «Il carcere deve seguire l'esibizione di prove, non essere strumento per cercarle». Più che giusto, ma farà orecchio da mercante quando a subirlo saranno i colletti bianchi, da Calogero Mannino al suicida Gabriele Cagliari.
«Il pm in Italia può condannare al carcere senza controlli, senza dibattimento, senza prove. Questo è uno scandalo giuridico». Sublime, ma non farà una piega quando gli incarcerati a capriccio saranno i suoi nemici politici. Fu addirittura estimatore di Corrado Carnevale, il giudice garantista bestia nera del forcaiolismo. Di lui ha scritto: «Del tutto discutibile la critica che gli viene rivolta per eccesso di garantismo. Si dice che annullando le condanne contro la mafia, i criminali vengono avvantaggiati. Verissimo. Non se ne esce però praticando la disinvoltura processuale, ma trovando le prove».

Flores non potrebbe dire meglio, se non fosse che è tutto fasullo: solo un

mezzo per difendere i suoi amici in galera. Un lustro dopo, in effetti, bollerà Carnevale come Ammazzasentenze e comincerà ad andare a braccetto con i suoi opposti antropologici: i Caselli e i Di Pietro. Marchese ma ipocrita.

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