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Formigoni scarica Albertini-Monti ma non arresta la diaspora ciellina

Nel movimento fondato da don Giussani crescono gli esponenti tentati dal Prof Oggi ad Arcore vertice Berlusconi-Maroni per sciogliere il nodo delle alleanze

Formigoni scarica Albertini-Monti ma non arresta la diaspora ciellina

Milano - Dopo lo strappo del capogruppo del Pdl all'europarlamento Mario Mauro passato con Mario Monti dopo aver detto ieri ad Avvenire che «è il nuovo modo di fare politica», Roberto Formigoni cerca di ricompattare i ciellini sotto le insegne del centrodestra. E metabolizzato lo strappo umano prima che politico con Mauro, probabilmente già oggi abbandonerà pubblicamente Gabriele Albertini, la cui candidatura in Lombardia rischia di spaccare il campo dei moderati, consegnando alla sinistra una facile vittoria. Un passo richiesto a Formigoni dallo stesso Berlusconi, ma che i colonnelli del Pdl non considerano sufficiente. Perché il problema ora sono i luogotenenti ciellini come il capogruppo in consiglio comunale a Milano Carlo Masseroli, il consigliere regionale bresciano Mauro Parolini o il presidente della Provincia di Cremona Massimiliano Salini tentati dall'avventura montiana. «Il rischio - spiega un big del Pdl - è che noi ci prendiamo Formigoni con tutto quello che questo comporta in termini di consenso e poltrone, ma i voti di Cl finiscano a Monti e Albertini».

Anche di questo si parlerà oggi al vertice convocato ad Arcore da Silvio Berlusconi con i dirigenti del partito e il segretario della Lega Roberto Maroni per sciogliere il nodo delle alleanze. Soprattutto in Lombardia, la regione diventata determinante perché qui non solo si voterà per eleggere l'erede di Roberto Formigoni, ma si decideranno anche i seggi decisivi per il Senato. Dovesse rimanere diviso, il centrodestra consegnerà a Bersani e Vendola i senatori sufficienti per avere la maggioranza anche a Palazzo Madama. Ecco il perché del tentativo di convincere Albertini a rinunciare alla candidatura. Una proposta rifiutata dall'ex sindaco, bacchettato da Berlusconi. «Questo signore che con i voti nostri e della Lega è stato sindaco per dieci anni a Milano - aveva detto davanti alle telecamere di Uno mattina - è stato colto da improvvisa ambizione personale e rischiando di non consentire a noi di mantenere l'alleanza con la Lega, si comporta in maniera francamente inaccettabile e incomprensibile».

Parole a cui il puntiglioso Albertini ha risposto ribadendo di non avere alcuna intenzione di fare un passo indietro. E del resto, sarebbe stato difficile dopo che in un'intervista a Repubblica aveva detto che «Monti è Gesù Cristo, “colui che deve venire” e io un piccolo Giovanni Battista». Ieri la seconda lettera a Berlusconi, dopo quella in cui rifiutava di essere capolista al Senato. «A questo punto non posso proprio, neanche se lo volessi, acconsentire alla tua richiesta. La candidatura non è ormai più “mia”, ma piuttosto “nostra”. Sono ormai direttamente coinvolte migliaia di persone e qualche milione ci osserva». Per poi concludere. «Ti sono infinitamente riconoscente per tutto il bene, ed è stato davvero tanto, che ho ricevuto da Te, e mai, né ora, né in futuro, sentirai da me niente d'irrispettoso nei tuoi riguardi».

Con Mario Mantovani, il coordinatore lombardo del Pdl, che gli chiede di ritirarsi o di lasciare «la poltrona al Parlamento europeo dove è stato eletto grazie al simbolo “Popolo della libertà”».

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